“STRAGI, FURORE E MORTI: IL CANTICO DI GUERRA ALZATE O FORTI!” (UN APPROFONDIMENTO TEMATICO DI LUCA BENVENUTO)

Così Norma, sacerdotessa dei Druidi che invita alla guerra contro i Romani. Anche se poco prima aveva invocato la luna (Casta Diva): “[…] porta in terra quella pace che tu fai regnar in ciel”. Nell’opera di Bellini (1801 – 1835. La prima di Norma andò in scena alla Scala di Milano il 26 dicembre dei 1831) la richiesta di pace si trasforma drammaticamente in una pulsione di guerra e di morte. Come mai? Per amore e, forse, anche per un tratto caratteristico della natura umana. Luca Benvenuto ne discute, proponendo di ragionare intorno al nucleo centrale di un tema oggetto di una serie di articoli pubblicati di recente sul nostro Blog: Lo Spettro atomico, Bambini in guerra, Bambini e bambine soldato, Chi fa la guerra non è in pace con se stesso, E se l’Agnello stesse per aprire il Settimo Sigillo? Cioè sviluppa un succedersi argomentativo che rinvia – appunto – alla natura stessa dell’essere umano. Gli esseri umani, da sempre, non sono contenti se non fanno la guerra. Educare quindi alla pace si propone come fondamentale paradigma di riferimento per ogni azione di carattere didattico e psicopedagogico che veda bambini e bambine i futuri attori di un difficile, ma non impossibile, cambiamento di cultura.

***

Il termine pace, dal latino  pax, pacis, dalla stessa radice *pak-, *pag- che si ritrova in pangere «fissare, pattuire» e pactum «patto», è usata per indicare l’assenza di conflitti tra popoli o  il ristabilimento di un periodo di tranquillità dopo una guerra o un’armonia tra due persone, all’interno di una famiglia, di un gruppo o a  una condizione di benessere, di appagamento  interiore, o semplicemente, secondo  Gandhi , una situazione interiore  per cui “La persona che non è in pace con se stessa sarà in guerra con il mondo intero.”

Come spiegare ad un bambino la guerra?  Come spiegare il perché muore di fame o il perché deve scappare? Le immagini alla tv della guerra recente hanno prodotto un grande turbamento, specialmente in chi ricorda ancora gli orrori della guerra, avendola vissuta come la nonna ottantasettenne che a soli otto anni assiste allo sbarco degli alleati a Cassibile (erano andati a rifugiarsi in campagna proprio dove avvenne lo sbarco!). Quella notte, incuriosita come sono i bambini, guarda il cielo farsi di mille colori e di mille suoni, e poi nei giorni successivi fuggendo per le campagne si imbatte nei corpi dei soldati morti……Come fa un bambino a non provare turbamento, a dimenticare ciò che ha visto, a continuare a credere nella vita? Come spiegare a un bambino che gli uomini sono capaci di uccidersi a vicenda e che lo hanno sempre fatto, dalla notte dei tempi?  

Tucidide, nella Guerra del Peloponneso, tra Sparta ed Atene, ci dice che è nella natura umana il desiderio inesauribile di accrescimento, cioè la tendenza ad aumentare la propria potenza, quando, all’interno di un territorio circoscritto si vengono formando due centri di potere, tesi ad accrescere la propria forza, a espandersi, a sottomettere le polis più deboli, finché le reciproche sfere di influenza entreranno inevitabilmente in conflitto. Non sono possibili altri esiti, se non la guerra di annientamento: trattati di pace, accordi di convivenza, alleanze potranno avere luogo, ma solo per tempi e modi limitati, perché il desiderio di accrescimento non può che comportare il desiderio di annientare il rivale. Tucidide, da grande storico, riconosce la centralità della guerra nella storia umana e anche l’importanza delle basi materiali grazie alle quali gli uomini si fanno la guerra, vale a dire il denaro. Senza denaro non si fa la guerra. Tucidide lo afferma esplicitamente all’inizio della sua opera nei discorsi pronunciati da Archidamo a Sparta e da Pericle ad Atene, i quali considerano le riserve finanziarie l’elemento essenziale per sostenere una guerra di grandi dimensioni. Senza di esse non è possibile armare un esercito, pagare i soldati, costruire una flotta, sostenere un assedio.[1]

La prestigiosa rivista Science, edita dall’American association for the advancement of science (Aaas), dedica il suo ultimo numero al tema della guerra.[2] Sulle pagine di Science, studiosi di varie discipline si confrontano sul ruolo della scienza nella comprensione dei fattori che possono scatenare conflitti. “La violenza fa parte della nostra natura – sostiene nell’editoriale David Hamburg, ex presidente dell’Aaas – La nostra specie ha una lunga tradizione di disprezzo verso lo straniero, l’appartenente a un gruppo considerato altro da sé, contro il quale si è scontrato in modi e luoghi sempre diversi, utilizzando le tecnologie offensive più cruente disponibili di volta in volta nel proprio tempo. La capacità dell’uomo d’incitare alla violenza – afferma Hamburg – non è mai stata così grande come ai nostri giorni”. Le questioni religiose, i pregiudizi razziali, il grado di discriminazione delle donne all’interno della società sono tutte fonti di conflitto. Le organizzazioni internazionali che hanno il compito di mantenere nel mondo la pace come ad esempio l’ONU, l’UNESCO, la FAO, l’UNICEF sono uno strumento a disposizione che gli uomini hanno creato dopo la seconda guerra mondiale in cui è stato sperimentato l’orrore del nucleare, per garantire la sicurezza collettiva e globale.  Ma riescono nel loro intento? La recente aggressione russa nei confronti dell’Ucraina ha sollevato all’interno dell’opinione pubblica un acceso dibattito riguardo all’efficacia, e talvolta l’utilità, delle Nazioni Unite. Molti, a partire dal presidente ucraino Volodymyr Zelenski, hanno sottolineato l’inabilità della principale organizzazione internazionale a livello globale, con organi appositamente deputati al mantenimento della pace e della sicurezza, di intervenire in difesa di uno stato sovrano arbitrariamente invaso da un altro.

Ma se anche le organizzazioni mondiali falliscono, dove va cercata la soluzione al problema?

La soluzione del problema potrebbe essere cercata nel capire la natura stessa dell’uomo, in modo da spingerla verso la benevolenza e non verso l’ostilità. La ragione della guerra senza dubbio è un difetto morale dell’uomo e come tale il compito di fare guerra alla guerra va svolto dai filosofi, dai sacerdoti, dai pedagoghi, dagli psicologi, dai missionari, dagli antropologi, dai biologi, dagli insegnanti (forse anche dai bambini, riconosciuti tuttavia come maestri degli adulti adulterati…) e quindi spiegata come dovuta al  dominio che le passioni esercitano sull’uomo, al peccato originale,  agli  istinti umani, irrazionali, aggressivi che si scatenano di fronte ad un altro uomo o anche verso la natura.

Ben vengano allora le iniziative che si raccolgono intorno al tema sull’educazione alla pace nelle scuole. Da qui  l’importanza che assumono lo studio della storia, delle guerre, delle loro cause e dei loro effetti, della violenza intraspecifica ed extra specifica negli animali e negli uomini, lo studio della psicologia e della sociologia di un  conflitto, delle istituzioni giuridiche come insieme di regole per limitare l’uso della forza, lo studio delle relazioni internazionali in cui sino a ora la guerra è stata giudicata, in certe condizioni, legittima, lo studio della storia degli strumenti bellici e del loro progressivo accrescimento, seguito da una precisa informazione circa lo stato attuale degli armamenti e della loro capacità di  uccidere,  lo studio di tutte quelle discipline attraverso cui i bambini a scuola possono imparare  l’educazione alla pace, a rispettarsi l’un   l’altro,  che costituisce il motivo centrale dell’insegnamento morale e cristiano, il principio dell’uguale  dignità di tutti gli uomini come persone morali e nell’imperativo: ‟Rispetta tutti gli uomini come fini e non come mezzi”. Nel Daodejing, il Libro della Via e della Virtù cinese, la cui composizione risale a un periodo compreso tra il IV e il III secolo a.C. troviamo diversi versi che inneggiano alla pace:

«Ecco che son le belle armi: strumenti del malvagio che le creature han sempre detestati. Per questo non rimane chi pratica il Tao. Il saggio, che è pacifico, tiene in pregio la sinistra, chi adopera l’armi tiene in pregio la destra. Ecco che son l’armi: strumenti del malvagio non strumenti del saggio, il quale li adopra solo se non può farne a meno. Avendo per supreme pace e quiete, lei vince ma non se ne compiace, chi se ne compiace gioisce nell’uccidere gli uomini. Ora chi gioisce nell’uccidere gli uomini non può attuare i suoi intenti nel mondo.»
(Daodejing 31)

Secondo Rousseau, il compito del grande legislatore che prende l’iniziativa di fondare una nazione è soprattutto ‟ essere in grado di cambiare la natura umana” (Contratto sociale, II, 7).  Concludo con una poesia di Bertold Brecht che riporto testualmente per riflettere su quanto sia importante il tema dell’educazione alla pace.

I bambini giocano alla guerra

I bambini giocano alla guerra.

È raro che/giochino alla pace

perché gli adulti

da sempre fanno la guerra,

tu fai “pum” e ridi;

il soldato spara

e un altro uomo

non ride più.

È la guerra.

C’è un altro gioco

da inventare:

far sorridere il mondo,

non farlo piangere.

Pace vuol dire

che non a tutti piace

lo stesso gioco,

che i tuoi giocattoli

piacciono anche

agli altri bimbi

che spesso non ne hanno,

perché ne hai troppi tu;

che i disegni degli altri bambini

non sono dei pasticci;

che la tua mamma

non è solo tutta tua;

che tutti i bambini

sono tuoi amici.

E pace è ancora

non avere fame

non avere freddo

non avere paura.

Bertold Brecht

I bambini immersi in luoghi di guerra si abituano a concepire la vita come “lotta alla sopravvivenza”. E così anche un giocattolo, può diventare il capro espiatorio per combattere. Brecht cerca di farci riflettere su quello che, a volte, scambiamo come normale, anche il semplice “pum” durante un gioco. Quello sparo che, da un’altra parte del mondo, sta uccidendo qualcuno. 
Educare un bambino alla pace non è una cosa semplice. Perché significa educare alla condivisione, al rispetto, all’apertura mentale. Significa saper condividere l’amore, saper insegnare il concetto di amicizia e di famiglia. E, purtroppo, in molti posti nel mondo questi valori non sono prioritari. Perché è prioritaria la violenza, la fame e la sofferenza. 

Quando parliamo di pace, vorremmo immaginarci in un mondo dove certi elementi “disumani”, non ci siano più. Quando pensiamo alla pace ci immaginiamo un mondo dove tutti possono avere uguale dignità, uguali diritti e doveri, un mondo libero da conflitti, un mondo in cui ciascuno di noi è in pace con se stesso. È questo che dobbiamo insegnare ai nostri figli.

LUCA BENVENUTO


[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Tucidide

[2] https://www.science.org/site/special/conflict/index.xhtml

2 Replies to ““STRAGI, FURORE E MORTI: IL CANTICO DI GUERRA ALZATE O FORTI!” (UN APPROFONDIMENTO TEMATICO DI LUCA BENVENUTO)”

  1. Da quando si conosce la storia, l’uomo è sempre stato in guerra : per potere, per denaro, per avidità …… e nonostante “ l’ evoluzione della specie” questo vizio non si è perso; si è adeguato alle più nuove tecnologie, per colpire più duramente. Accanto alle persone buone, disponibili, altruiste, affettuose, ci saranno sempre i “cattivi” che fanno più rumore usando armi impari. Riusciremo mai a cambiare questa regola?

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  2. Bellissimo articolo! Grazie!!
    Parlare di guerra e di pace è difficile soprattutto ai bambini perché purtroppo per funzionare in educazione occorre coerenza.
    La pace comincia dentro di sè e può essere spiegata certo, ma perché il messaggio arrivi e attecchisca occorre essere testimoni credibili in prima persona.

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