MALTRATTATE E MALTRATTANTI: UN CASO ITALIANO DI POVERTA’ CULTURALE

Stefania Vaccarino – a partire dall’articolo “Giselle e gli spiriti di fanciulle vendicative perché tradite e morte infelici”, pubblicato lo scorso 29 marzo – propone una lettura critico-costruttiva di un fenomeno noto, diffuso e scarsamente contrastato. E che, nella sostanza, rinvia alla povertà culturale, anch’essa nota, diffusa e scarsamente contrastata. A partire dai media. Un’analisi, quella di Stefania, efficace e approfondita.

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La violenza sulle donne è uno dei temi più attuali e scottanti del momento. Se nel precedente articolo abbiamo visto come Giselle mostri metaforicamente il rapporto di violenza tra uomo e donna (e invertendolo, dato che le fanciulle tradite danzano con coloro che le hanno ferite fino a sfinirli letteralmente), ora vediamo come questo tema ci riguardi da vicino.

I molteplici aspetti della violenza sulle donne

Solitamente, quando si pensa alla violenza sulle donne, le prime forme di violenza che ci vengono in mente riguardano il maltrattamento fisico e l’abuso sessuale. In realtà sono molto importanti e hanno ripercussioni devastanti anche la violenza psicologica e la violenza economica (di cui solo recentemente si inizia a parlare). Se la violenza psicologica è volta ad annientare psicologicamente la vittima (umiliandola costantemente sia in privato, sia in pubblico, sminuendola, insultandola, denigrandola, etc.), la violenza economica è volta a impedire alla vittima di emanciparsi economicamente dal proprio carnefice (per esempio, le viene impedito di trovarsi un lavoro o di mantenere un impiego, oppure il maltrattante cerca di impedirle di gestire autonomamente i propri beni).

Un’altra nuova forma di violenza è la violenza tecnologica, attraverso la quale il maltrattante controlla i social, le mail e i messaggi che la vittima invia e riceve.

Infine lo stolking è una forma gravissima e patologica di abuso, che non solo rende letteralmente la vita della vittima un inferno ma che spesso sfocia in atti di violenza gravissimi, fino all’omicidio.

Chi sono le vittime di violenza?

Secondo il sito internet Non sei da sola della Regione Lombardia viene riportata questa indagine:

“In Lombardia, tra il 2015 e il 2016 (fonte: Rapporto annuale Osservatorio regionale antiviolenza 2016) 9.561 donne, passando da 4.317 nel 2015 a 5.244 nel 2016 donne si sono rivolte a un centro o a un servizio antiviolenza.

Quasi 4000 le donne che si sono rivolte ad un centro antiviolenza nel primo semestre 2017, segno di un’emersione crescente del fenomeno che va di pari passo con la crescente fiducia nei servizi attivi sul territorio e del lavoro di sensibilizzazione e informazione che viene fatto capillarmente da parte dei centri antiviolenza e degli altri soggetti istituzionali coinvolti (Pronto soccorso, Forze dell’ordine, assistenti sociali etc.)

Dal rapporto annuale 2016 emerge una fotografia che conferma la trasversalità del fenomeno. La crescita registrata nel 2016 ha riguardato sia le italiane che le straniere, il 60% è di cittadinanza italiana, il 5, 7% appartenente a altri paesi UE e il restante 34,3% proviene da paesi extra-UE.

Ai Centri antiviolenza si rivolgono soprattutto donne adulte: l’età media è di circa 40 anni, più della metà delle donne di cui si conosce l’età ha tra i 35 e i 54 anni. Seguono le giovani donne tra i 18 e i 34 anni che sono poco più di un terzo delle donne prese in carico. Nel 2016 cresce purtroppo anche l’incidenza delle giovani donne tra i 18 e i 24 anni che si rivolgono ai CAV in cerca di un supporto ad uscire dalla condizione di violenza, l’11% del campione.

Le donne che si rivolgono ai Centri antiviolenza sono soprattutto donne adulte (più della metà ha tra i 35 e i 54 anni e l’età media è di circa 40 anni), coniugate (circa 43%), con figli/figlie, spesso minorenni (il 61% di chi ha figli).

Un terzo delle donne che si è rivolta ai centri antiviolenza ha un diploma secondario e le donne laureate sono intorno al 17%, d’altro canto nel 2016, aumenta anche l’incidenza delle donne con solo la scuola primaria.

La condizione occupazionale delle donne, mostra che il 41% non ha verosimilmente un proprio reddito da lavoro o non ha un reddito tale da garantire una sufficiente autonomia dal punto di vista economico, un dato importante nell’ottica di un percorso di sostegno all’uscita dalla violenza,  la possibilità delle donne che intraprendono questo percorso è quella di poter essere autonome economicamente rispetto al proprio partner o alla famiglia di origine, anche perché spesso all’interno della relazione violenta l’accesso all’autonomia economica è stato precluso dal partner (violenza economica).

Nei due terzi dei casi sono le stesse donne a effettuare il primo contatto con il Centro antiviolenza anche solo per ottenere inizialmente informazioni generiche. Nei restanti casi sono le donne che contattano i Centri; sono, in misura crescente, messe in contatto con il CAV dagli altri servizi territoriali o informate rispetto ai servizi attivi dalla rete dei servizi territoriali.

In particolare cresce la quota di donne che si sono rivolte inizialmente ad altri servizi Forze dell’ordine (Carabinieri e Pubblica Sicurezza) indicati dal 35,5% delle donne, assistenti sociali comunali (21,8% nel 2016), o servizi sanitari (15%), un dato incoraggiante rispetto la crescente professionalizzazione di questi servizi rispetto la capacità di riconoscere la violenza di genere come tale, ascoltare le donne e accompagnarle verso un percorso di fuoriuscita dalla violenza in collaborazione con i centri antiviolenza.

Chi sono i maltrattanti?

Troviamo una risposta esaustiva nell’intervista che Alessandra Pauncsz, fondatrice e presidente dei CAM (Centro Ascolto Uomini Maltrattanti), ha rilasciato a Vita.it il 16/11/2019 e qui riportata:

“L’utenza dei CAM si divide in due grandi tronconi: “Gli uomini che provengono dal carcere, autori della violenza più grave intercettata dal sistema giudiziario- spiega all’agenzia Dire Alessandra Pauncz, intervistata in occasione del decimo compleanno dei Cam- e quelli che vengono dal territorio. Tra il 50 e il 60% provengono dal territorio, hanno tra i 30 e i 50 anni, sono nelle relazioni per un tempo medio lungo (6-10 anni), spesso con figli e non hanno caratteristiche psicopatologiche particolari”.

Secondo i dati raccolti da Relive, in 17 centri tra il 2015 e il 2017, si tratta generalmente di occupati (32% dipendenti, 11% liberi professionisti, 7% operai, 2% studenti) mentre solo il 9% è disoccupato. Sono per la maggior parte diplomati (42%), il 34% ha una licenzia media, il 14% ha una laurea, il 9% la licenza elementare.

Alcol (10%), droghe (6%) e disagi mentali (10%) influiscono sulla violenza solo in minima parte. Il 46% degli uomini violenti che si sono rivolti ai centri ha subito violenza fisica o assistita da bambino, il 54% di quelli presi in carico sono italiani, contro un 14% di stranieri. La violenza più agita è quella fisica (35%) seguita da quella psicologica (31%). Minori i casi di violenza sessuale (5%) e stolking (3%).

Tra gli elementi ricorrenti, spiega Pauncz, “la minimizzazione o la negazione della violenza, diffusa soprattutto nel gruppo di chi sta in carcere”; e “l’attribuzione della responsabilità alla vittima”, barriere che spesso “inficiano la motivazione al cambiamento”.

Non è possibile, però, elaborare “un identikit preciso del maltrattante. Il carcere- spiega la psicoterapeuta- si caratterizza per una percentuale più alta di disagio psichiatrico o psicopatologico e di pericolosità, con un margine di cambiamento e possibilità di lavoro più basso”. Importante anche la percentuale di correlazione tra maltrattanti, vittime, nella loro infanzia di violenza assistita (30%)”.

Come aiutare una donna maltrattata a uscire dalla spirale della violenza.

Per una donna vittima di maltrattamenti spesso è molto difficile chiedere aiuto: in primo luogo esiste la paura di non essere creduta e il rischio concreto delle ripercussioni che la denuncia possa innescare (ad esempio, la donna può temere un’escalation della violenza da parte del suo persecutore). Da non sottovalutare il legame affettivo esistente tra la vittima e il suo carnefice (spesso è un familiare o un amico di famiglia a compiere abusi e violenza, raramente invece a commetterli è uno sconosciuto). Infine, la vittima tende spesso a minimizzare i vissuti e a colpevolizzarsi per la violenza subita.

Tuttavia aiutare queste donne è possibile quanto doveroso. Come riportato anche dal Centro Antiviolenza di Bologna, esistono delle indicazioni preziose che possiamo usare per aiutare queste donne:

“Esiste un solo modo per sapere con certezza se la donna di fronte a noi, che mostra tutti gli indicatori psicologici della vittima di abusi, è realmente tale: chiederlo direttamente. È importante che la domanda sia posta in un contesto di calma e tranquillità ed è altrettanto fondamentale che la donna si senta a proprio agio e al sicuro, perché possa parlare.

Le donne sono reticenti a parlare per vergogna, per paura che il compagno lo venga a sapere, per timore di non essere credute, perché pensano che sia colpa loro. E’ molto importante ascoltare, offrire il proprio supporto, con atteggiamento non giudicante e non forzare a prendere decisioni.

Come posso aiutarla?

Infòrmati sulle dinamiche della violenza di genere sulle donne, non azzardare consigli ma documentati sull’argomento e chiama un Centro Antiviolenza. Si tratta di situazioni complesse e spesso pericolose, non pensare di trovare soluzioni rapide, definitive, semplici.

In caso di reale pericolo, non metterti in pericolo anche tu, ma chiama le forze dell’ordine.

Che atteggiamento tenere?

Assicurati di avere tutto il tempo per ascoltare il suo racconto.

Rassicurala che credi a ciò che ti sta raccontando.

Non stupirti del fatto che il racconto può far emergere sentimenti della donna verso il compagno molto diversi fra loro: amore e paura, stima e odio, volontà di chiudere la relazione e speranza di una riconciliazione.

Dille che non c’è nessuna giustificazione alla violenza, che è una responsabilità di chi l’agisce.

Fai domande per capire da quanto tempo avviene la violenza, se è aumentata nel tempo e nella gravità, se ci sono armi in casa. Ti serviranno per capire la pericolosità della situazione e l’urgenza di una soluzione.

Non sottovalutare le sue paure. Non farle domande tipo: “perché non te ne sei andata prima/non lo lasci?”. Si sentirà giudicata e non compresa nella complessità della situazione che sta vivendo.

Evita di dare giudizi e consigli su quello che deve fare. Sarà lei stessa a dirti ciò di cui ha bisogno. Non prendere iniziative senza accordarsi con la donna stessa.

Spesso al maltrattamento si associa un forte isolamento e una chiusura verso l’esterno. La tua vicinanza e solidarietà sono molto importanti.

Una delle minacce usate più frequentemente dal maltrattante per ricattare la donna vittima delle sue violenze è quella di dirle che perderà i figli in caso di separazione o denuncia. Aiutala a capire che non è una “cattiva” madre se cerca di proteggere i suoi figli e che la violenza a cui assistono può essere destabilizzante per loro.

Sostieni le sue decisioni e rimandale forza. Ci sono sempre rischi legati a ogni decisione presa da una donna maltrattata ed è stata molto coraggiosa ad aprirsi e a raccontarti. Rassicurala che non rivelerai al suo compagno quanto ti ha esposto: ciò potrebbe recarle ulteriori rischi. La fase della separazione, in caso di maltrattamento, può essere molto pericolosa.

Dalle il numero di telefono del Centro Antiviolenza più vicino. Rassicurala del fatto che lì sarà ascoltata, troverà informazioni utili, non verrà forzata a prendere decisioni e che le sarà garantita la riservatezza.

In caso di emergenza chiamare:

Linea di aiuto sulla violenza, multilingue e attiva 24 ore su 24 in tutta Italia: 1522, chiamata gratuita.

Numero unico di emergenza: 112

Centri Antiviolenza presenti a Milano :

  • Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate Onlus

      Via Piacenza 14, 20135 Milano

Tel 0255015519 Email:

info@cadmi.org www.cadmi.org

  • Cerchi d’acqua Cooperativa Sociale

Via Verona 9, 20135 Milano

Tel 0258430117

Fax 0258311549

Email: info@cerchidacqua.org http://www.cerchidacqua.org

Inoltre sono presenti:

* CeAS – Centro Ambrosiano di Solidarietà – Mai da sole

* C.A.S.D. CENTRO ASCOLTO DONNA PRESSO ASST SANTI PAOLO E CARLO

* FONDAZIONE SOMASCHI ONLUS

* SeD- SERVIZIO DISAGIO DONNE CARITAS AMBROSIANA

* SVS DONNA AIUTA DONNA ONLUS presso l’ospedale Policlinico di Milano

* SVSeD- SOCCORSO VIOLENZA SESSUALE E DOMESTICA presso l’ospedale Policlinico di Milano

* TELEFONO DONNA presente in diversi ospedali di Milano (tra i quali Niguarda, Besta, etc).

* ASSOCIAZIONE LULE ONLUS.

STEFANIA VACCARINO

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