[…Il fascino e l’incantamento non vengono dalla ragione o dall’irrazionalità, ma dagli spazi lasciati liberi dall’una e dall’altra…]
È anche vero che i bambini amano le sorprese. Non fosse altro che per rivivere, ripeto, il piacere di ritornare poi nel rassicurante mondo della ritualità, del ripetitivo. Amano il simmetrico ma si entusiasmano se possono fare una deviazione nell’asimmetrico. In questo modo, imparano ad amare il simmetrico e l’asimmetrico, il rituale e l’irrituale, il vecchio e il nuovo.
In ogni storia ben raccontata il narratore e l’ascoltatore si trovano assieme all’interno della stessa bolla di sapone, di cui fingono per convenzione di ignorare la fragilità, e finché dura…se la godono tutta. Una consapevole sospensione dell’incredulità, dunque: “Qualunque sciocco può facilmente accorgersi che sul palcoscenico ove si recita una commedia non ha luogo un’azione reale, ma vi sono soltanto attori: guardare uno spettacolo con questo atteggiamento è però proprio da sciocchi, perché impedisce di calarsi nella storia presentata. Una volta sospesa l’incredulità, invece, possiamo vivere come ‘reale’ la vicenda, trarne sentimenti vividi, esperienze importanti” (Samuel Taylor Coleridge).
Né i bambini né gli artisti hanno bisogno di queste raccomandazioni. Per natura sono straordinariamente sensibili a ciò che non si vede a occhio nudo, a quanto c’è tra la luce e l’ombra, tra la veglia e il sonno, tra il cielo e la terra. Sono esseri al confine tra il lunghissimo passato della loro specie e il nuovo mondo nel quale sono stati catapultati.
Un buon narratore crede a quello che racconta. Il poeta irlandese Yeats, nato in una terra che è una fucina di fiabe e la cui opera è intrisa di materiale fiabesco, credeva “veramente al mondo delle fiabe e alle fate e…raccontava con serietà di essere stato trasportato in aria dalle fate per quattro miglia…”. Follia, direte voi, ma il fascino e l’incantamento non vengono dalla ragione o dall’irrazionalità, ma dagli spazi lasciati liberi dall’una e dall’altra.
Un personaggio di uno dei miei libri (Vecchi Leoni e la loro irresistibile alleanza con i giovani, Milano, Rizzoli, 2003) un vecchio pazzo, grande narratore, così rispondeva a chi gli dava del mentitore: “Oggi più che mai c’è bisogno di chi, come noi, crede senza riserve nelle storie che racconta. Tanti raccontano panzane, frottole, mezze verità. Costoro sono i bugiardi, individui che mentono e sfruttano a proprio vantaggio e a danno del prossimo le loro menzogne.
Noi no. Noi non mentiamo. Siamo dentro le storie che raccontiamo, le abitiamo e siamo abitati da loro, ci entusiasmiamo mentre le raccontiamo, siamo del tutto sinceri quando diamo vita con le parole a vicende mirabolanti. Forse che Tartarino di Tarascona era un bugiardo? O l’infelice Don Chisciotte? O il nostro amato Münchhausen?”
Aspiriamo ad un mondo ordinato e rassicurante ma viviamo in un mondo che ogni giorno, per usare qualche eufemismo, si presenta come insensato, disordinato e preoccupante. Crediamo che l’ordine possa essere trovato eliminando il bislacco. Abbiamo sbagliato bersaglio. Non è il bislacco, il bizzarro, l’imprevedibile, il nostro nemico. Il nemico è la rigidità, l’immobilità, il fanatismo, l’ordine cimiteriale. Il bislacco ci aiuta a muoverci, a non immobilizzarci, a guardare l’altro lato della medaglia, l’altra faccia della luna, in altre parole a conoscere e a conoscerci meglio.
Del resto, come Elia Wiesel dice, Dio ama gli uomini perché adora le storie. E noi uomini ne raccontiamo e ce ne raccontiamo tante per convincerci che questa vita sia degna di essere vissuta. Senza questa capacità di inserire tutto ciò che ci capita in una trama narrativa, l’impatto con la realtà sarebbe insostenibile. Per questo Dio, o chi per lui, ci ha fatto bislacchi e, di conseguenza, produttori di storie. Perché ogni storia è movimento, e ogni movimento è avventura, e ogni avventura è imprevedibile.
Siamo bislacchi dentro.
FULVIO SCAPARRO
- La prima versione di questo intervento è stata presentata a Genova il 23 marzo 2007 al Convegno Quantestorie
Come sempre il Prof. Scaparro ci fa ragionare sul quotidiano con il suo punto di vista, che ci apre molteplici, interessanti e articolati orizzonti. Analizzarli ci aiuta a migliorarci e a capire di più.
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Mi piace! Soprattutto la determinazione con cui si afferma che il nemico è la rigidità, l’assenza di movimento, che per me è bisogno di messa in discussione personale, ricerca di ciò che è il vero bene.
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