IN ATTESA DI UN TRAM CHIAMATO DESIDERIO (CHE È POI IL TRAM DELLA VITA)

L’attesa, di Felice Casorati, descrive e racconta di una condizione umana dalla connotazione ben precisa. Della resilienza (orrendo termine di origine metallurgica) non si intravede nemmeno l’ombra. Infatti: la tavola evoca il pasto in comune, ma intorno a questa tavola non vi è nessuno. Le tazze (assimilabili alle coppe) ricordano, simbolicamente, il vaso dell’abbondanza, ma sono vuote. L’acqua della brocca richiama la sorgente della vita, centro di rigenerazione che nessuno pare però versare nelle coppe, inutile orpello in questa triste scenografia. E così il vino, con il suo colore rosso (che richiama il sangue), bevanda di vita e di immortalità, che tuttavia resta in una solitaria bottiglia. E infine il pane, simbolo di nutrimento essenziale, che nessuno però spezza.

In questo scenario, la figura umana, la donna, con una spalla scoperta, il capo reclinato, gli occhi chiusi, le braccia abbandonate e conserte, racconta di uno stato di abbandono definitivo. Nessuna speranza che attorno alla tavola si siedano le persone che vorrebbe le fossero vicine. Nessuna vibrazione affettiva. Un’attesa fatta di un silenzio che nulla ha a che vedere con il silenzio confortante e attivo dello stare a maggese.

La tempera su tela di Casorati riassume una condizione esistenziale che molti di noi, (a tratti e magari per un solo e breve momento), non possono non aver sperimentato. Racconta di quanto importante sia il poter essere ascoltati. Nel quadro, il silenzio affettivo e relazionale si presenta come la massima espressione di una solitudine che può prendere due strade: evolvere in depressione soggettiva o tramutarsi in ribellione e assalto a un mondo vissuto come nemico. Il destino viene allora, in quest’ultimo caso, percepito come “cinico e baro”.

L’opera dei volontari, delle educatrici e degli educatori che – da molti anni – si adoperano per evitare che i ragazzi che prendono per mano, sperimentino la sensazione di un’attesa votata alla sconfitta, è soprattutto orientata a sviluppare una strategia di ascolto e di accoglienza. Il che significa che UVI si è venuta a configurare come luogo, tempo e spazio dove le ferite imposte da un vivere difficile possa essere “letto” come occasione di rinascita, di rigenerazione. Al riguardo, il sottofondo musicale che bene accompagna questa procedura di “recupero” è La Moldava, di Smetana: il primo movimento è di attesa, di colloquio e ascolto di se stessi, che poi si sviluppa in uno scorrere attivo e, se non proprio gioioso, almeno senz’altro attivo e costruttivo. Si intravede senz’altro la luce in fondo al tunnel. La vita si veste di possibilità sorprendenti e inattese. Il cammino si fa sicuro. La direzione diviene chiara. E chiaro diviene l’orizzonte. Se la donna che interpreta l’attesa avesse potuto ascoltare la sinfonia di Smetana (o, magari, anche la Quinta di Beethoven, non a caso “Sinfonia del Destino”), si sarebbe alzata, avrebbe sparecchiato la tavola e se ne sarebbe andata a passeggiare nel giardino dei propri ricordi e delle proprie speranze. E il tram chiamato desiderio, scampanellando, l’avrebbe presa bordo.

[Chi fosse giunto a leggere fin qui questa pagina, ascolti la sinfonia di Smetana, da Youtube. Lasciandosi cullare dalle onde del fiume che scorre, che è poi il fiume della vita]

È sotto la bandiera di queste note che dovremmo cercare di incontrare i ragazzi che nei vari quartieri (di Milano e non solo) mettono in atto forme di violenta opposizione, prima di tutto a se stessi. Una violenza che allarma. I ragazzi che nel quartiere di San Siro (e non solo) danno da pensare agli abitanti e impegnano le forze dell’ordine, dichiarano un bisogno fondamentale: non sono stati ascoltati, dalle famiglie, dalla scuola, dalla società.

UVI è quindi impegnata a sviluppare efficaci strategie di ascolto, lungi dal praticare i tanto sterilmente rassicuranti e ormai inutili studi e ricerche (come al riguardo stiano le cose, lo si sa). Volontari e volontarie sono persone che camminano per le strade, non abbassando lo sguardo quando leggono la sofferenza nello sguardo altrui.

Riferimento iconografico: Felice Casorati (1883-1963), L’attesa, tempera su tela, Torino, Collezione Casorati

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