Chissà che quest’epoca pandemica e il conseguente veleggiare di un virus intenzionato a difendersi con mille e furbe strategie non ci consenta di recuperare capacità finora inespresse. Come, per esempio, la capacità di restare in quieta solitudine anche in presenza dell’altro. Difficile? Disdicevole? Mah…Ognuno decida per sé. In quieta, allegra e partecipata solitudine…
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Al riguardo, Masud Khan scrive:
«Scrivendo alla contessa M., il 10 marzo 1921, Rainer Maria Rilke esprimeva un sentimento che, in un modo più modesto, è vero per tutti noi. Rilke diceva: “In definitiva ognuno di noi sperimenta nella vita un solo conflitto, che riappare costantemente sotto forma diversa”.
Ciò che per Rilke era “un conflitto”, nella mia esperienza di vita è stata la preoccupazione del rapporto di una persona con se stessa. Metterò a fuoco qui un’area piuttosto intima, non conflittuale e personalizzata dell’auto-esperienza, cioè: il rimanere a maggese.
Il sostantivo maggese è definito dallo Dizionario , come : Terreno che è bene arato ed erpicato, ma lasciato non seminato per un anno o più.
Attraverso la metafora di un verbo attivo, voglio indicare che lo stato d’animo che sto cercando di discutere non è né inerzia, vacuità indifferente o vana quiete di spirito, né è una fuga dalla determinazione tormentata e dall’azione pragmatica. Il rimanere a maggese è una situazione transitoria dell’esperienza: un modo di essere che è calma vigile e coscienza ricettiva, sottilmente desta […] Oggi viviamo in società eccessivamente pragmatiche e spietatamente evangeliche, in cui tutto si fa per l’individuo, per mezzo dello stato e dei politici, sociologi e psichiatri, psicoanalisti e guitti. In questo eccessivo zelo di liberare e confortare l’individuo forse abbiamo trascurato alcuni dei fondamentali bisogni della persona: di essere appartata, non integrata e di poter rimanere a maggese […] Quindi lo stato di maggese è: (1) uno stato d’animo transitorio e fugace; (2) una condizione intellettuale non conflittuale, non istintuale e acritica; (3) una capacità dell’Io; (4) uno stato d’animo vigile e attento: non integrato, ricettivo e instabile; (5) è in larga misura non verbale e immaginistico-cinestetico nell’espressione. Andrei anche oltre con il dire: lo stato di maggese è largamente vissuto e espresso soltanto in silenzio, anche con se stessi. È comunque più riferibile all’espressione pittorica che all’articolazione verbale. Il fare ghirigori può esserne uno strumento del tutto adeguato […] La capacità di rimanere a maggese in quiescente solitudine in presenza dell’altro è un requisito indispensabile».
DA: M.Masud R. Khan, Rimanere a maggese. Esame di un aspetto dell’ozio. In: AAVV, Il pensiero di D.W.Winnicott, Roma, Armando, 1982
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