UN CONCERTO DA PSICOCOSE. LEGGENDO LE STROFE E L’ANIMA DI LUCA BASSANESE

SECONDA PARTE

Sono sempre rimasto affascinato da coloro che riescono, usando un’espressione del linguaggio comune, a tenere vivo il bambino che è in loro, che hanno mantenuto lo stupore nell’osservare le cose del mondo e a fare spazio nella propria vita del “gioco”, proprio come modalità per conoscersi e interagire con gli altri.

Quando ho visto Luca Bassanese cantare sul palco, me lo sono immaginato con un bambino al suo fianco lungo tutta la durata del concerto, a cui non ha mai smesso di tenere la mano; con uno spirito lontano dall’austerità, riprendendo le parole di Italo Calvino, propria di coloro che sanno planare sulle cose “senza macigni sul cuore”.

Proprio con questo sguardo, ho ripensato alle storie che ha raccontato; a chi, tra il pubblico (adulto), quella sera, si era fatto trascinare in un mondo fantastico, in una rèverie; oppure chi, facendosi rapire dalle ritmiche e dalle sonorità dei brani ascoltati, era tornato, per un  breve momento alla propria giovinezza, facendo riaffiorare  i ricordi di quei balli della tradizione popolare che animavano le piazze, durante le feste di paese.

Con una certa ammirazione e con un pizzico di invidia, ho ripensato al suo concerto non solo come a un evento culturale ma anche, in senso più esteso, a un presidio sociale e anche ad un “luogo di cura”: uno spazio che ha consentito, per così dire, un’ e-ducazione psicologica e non solo civica (la sensibilizzazione per tematiche sociali) per coloro che ne hanno partecipato.

Si potrebbe dire in termini psicologici: un “ascolto di sé” attraverso la parola e la musica mediante un momento di condivisione; la (preziosa) possibilità di apertura, di un dialogo con le nostre emozioni che viviamo, che ci “ abitano” e senza il riconoscimento delle quali, rimanendo celate e non comunicate, inficiano la nostra salute mentale.

Dunque ho ripensato alla professione di Luca Bassanese in una duplice veste: sia  nella dimensione artistico/estetica a cercare di “fare del bello“ nel proprio mestiere, ma anche l’orientamento e l’intento, attraverso la sua musica, di provare a fare  “un’ educazione psicologica”, uno sguardo allo sviluppo socio-emotivo della persona.

In questo, senso si coglie nella sua opera una sensibilità peculiare per la trattazione delle tematiche dell’infanzia: la ricerca della felicità, il coraggio di vivere, di non avere paura; si potrebbe dire una “sensibilità per le sensibilità”, per le fragilità, per le minoranze.

Con questo sguardo, credo, Luca Bassanese suggerisca una maggiore flessibilità e apertura nei confronti dei bambini.

In questo particolare momento che abbiamo sperimentato – in ambito scolastico è stato necessaria la DAD (didattica a distanza), è opportuno mettere in rilievo, in riferimento al tema dell’educazione scolastica, proprio un suo brano : “ credo in una scuola”.

Dal testo emerge con chiarezza l’invito all’adulto a rapportarsi al bambino, al giovane, con l’ idea di “farsi (anche) guidare “ piuttosto che di limitarsi a un “’istruzione”: un ‘idea di una scuola, dunque, come luogo non solo di crescita intellettiva ma primariamente di socializzazione primaria per il bambino e il giovane.

Al riguardo, riportiamo  il testo della canzone:

Credo in una scuola libera e pensante
Che abbia un grande sogno coltivare cuore e mente
L’arte della vita come unica insegnante
La matematica del cielo la sapienza delle piante

Credo nello sguardo nell’incanto di un bambino
A cui nulla puoi insegnare nella luce di un mattino
Credo in una scuola ch’io non ho mai vissuto
Ma che a volte nello sguardo di un maestro ho incontrato

Per Contare la bellezza può bastare l’infinito
Per dipingere la terra sono quattro le stagioni
Se chiudi gli occhi vedi un oceano di emozioni
E la poesia più bella sei tu a piedi nudi

Credo nel coraggio di chi pensa che insegnare
Non sia solo un mestiere ma forza di cambiare
Di cercare nella vita nuovi mondi da esplorare
Contro l’odio, l’ignoranza e le miserie quotidiane

Per Contare la bellezza può bastare l’infinito
Per dipingere la terra sono quattro le stagioni
Se chiudi gli occhi vedi un oceano di emozioni
E la poesia più bella sei tu a piedi nudi

Per Contare la bellezza può bastare l’infinito
Per dipingere la terra sono quattro le stagioni
Se chiudi gli occhi vedi un oceano di emozioni
E la poesia più bella sei tu a piedi nudi

Credo in una scuola libera e pensante
Che abbia un grande sogno coltivare cuore e mente
Credo in una scuola libera e pensante

(Luca Bassanese, 2019)

Ho ripensato in questi termini a Luca Bassanese: non solo a un cantore dentro, per così dire, a una cornice culturale ma, in senso allargato, a una sorta di psicologo e/o a un educatore “sui generis” che opera in un setting particolare.

Certo, senza storcere troppo il naso, per questa mia “licenza” di affiancare questi due mansioni apparentemente distanti, alla mia provocazione si potrebbe obiettare che in un contesto culturale, qual  è il concerto, si palesa una evidente asimmetria.

Questa è dovuta al fatto che, riprendendo quanto detto in apertura dell’articolo, il pubblico avesse di fatto ricoperto una posizione sostanzialmente recettiva e di ascolto (ma non per questo passiva!); una modalità di “interazione” diversa, rispetto a quanto si verifica negli ambienti di cura che, nel territorio, possono  essere ricondotti a un consultorio, a una associazione o allo studio privato di uno psicologo o di uno psicoterapeuta .

Eppure con spontaneità mi è venuta da fare questa associazione.

Difatti, il linguaggio di Luca Bassanese è evocativo, apre su mondi immaginari.

Sono stato affascinato dalle metafore – si pensi al brano “liberiamo l’elefante”, riguardo alla possibilità di saper attraversare le proprie paure per non esserne soggiogati.

Ma anche delle sue riflessioni e ai suoi accenni biografici che ha proposto negli intermezzi della scaletta musicale: mai didascalici, suscitavano l’interesse e la curiosità del pubblico.

Ad esempio, al tema – come prima accennato – dello sviluppo psicologico della persona che risulta imprescindibile dall’aspetti identitario, Luca Bassanese aveva offerto la similitudine  tra l’anelito dell’uomo alla felicità e la crescita dell’albero; quest’ultimo, per svilupparsi verso l’alto, ha bisogno di affondare nel terreno radici ben solide.

Pensai:  – ecco – vedo di fronte a me, sul palco, un cantore, un’ equilibrista e un giocoliere delle parole. Ho apprezzato da subito il suo intento espressivo e la sua efficacia comunicativa che induceva, senza mai rivelare troppo, a giocare con la propria immaginazione, a interrogarsi, a cercare di capire.

Partendo dal presupposto che per me è un compito arduo raccontare delle strofe di Luca Bassanese, proprio perché il rischio, per me,  è quello di farne una spiegazione e, dunque, una semplificazione di quanto vissuto. In questi termini, secondo il mio punto di vista, non riuscendo dunque a rendere “viva”  l’unicità della mia esperienza, mi sono voluto soffermare ancora su alcuni aspetti che l’ hanno caratterizzata.

Anche per chi fosse stato seduto alle ultime file o per chi non avesse incontrato quella sera il suo gusto musicale, non poteva non sentire “l’energia” che circolava sul palco e che si “rifletteva” nell’ambiente circostante.

Tale energia era riconoscibile nella persona di Luca Bassanese, anche per il suo -desiderio di voler condividere tematiche sociali e che ho potuto apprezzare quando, ad esempio, per raccontare e sensibilizzare del rischio planetario dell’inquinamento, ha cantato  “il pesce petrolio” .

Non si poteva non essere coinvolti dal ritmo incalzante della “ballata dell’emigrante” : gli strumenti stessi risultavano anch’essi “animati”; i miei occhi non potevo non essere incantati dal movimento ipnotico delle mani di Elodie  – la cantante – sul tamburello basco o al fraseggio degli assoli di chitarra del maestro Stefano Florio.

All’ascolto “ l’amore disperato (sempre vincerà) mi son sentito ritornare, con un po’ di malinconia, agli struggimenti giovanili da innamorato, alle prime ferite per una reciprocità mancata e al bisogno di ricercare un po’ di conforto con la musica. 

Rifletto, dunque, al valore non quantificabile – al di là delle mere questioni di gusto musicale – che può essere dato dall’ascolto, oggi , di un giovane ragazzo, all’ascolto di parole che sono un patrimonio accessibile a tutti.

La Cultura cos’é?- mi verrebbe da pensare-  se non (anche) questo: la trasmissione e la condivisione di esperienze, una costruzione di senso (anche) delle ferite che ci appartengono e fanno parte della storia di ciascuno di noi.

In conclusione, vorrei riferire che il dispiacere che provai di non potere stare a seguire il concerto  fino alla sua conclusione, venne dissolto nel momento in cui lasciai lo stabile comunale.

All’ingresso mi ritrovai un giovane ragazzo che, probabilmente, scambiandomi per un responsabile dell’organizzazione mi chiese se potesse entrare insieme ai suoi compagni per poter seguire il concerto dal vivo, dato che erano rimasti fino a quel momento nella piazzetta all’esterno ad ascoltare i brani di Luca Bassanese.

In un momento speciale che stiamo vivendo , dove le restrizioni sociali sono ancora forti, mi piace ripensare ancora a quella serata, alla musica di Luca Bassanese che aveva valicato lo stabile e si era diffusa nel paese. 

IVAN PUGINA





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