LE SEI PRINCIPALI EMOZIONI UMANE: GIOIA, TRISTEZZA, RABBIA, DISGUSTO, PAURA E SORPRESA. BING BONG E IL FILM DI ANIMAZIONE “INSIDE OUT”.
Immaginiamoci di essere di fronte ad uno schermo del cinema, stiamo assistendo alla proiezione di Inside Out, un film di animazione realizzato da Disney Pixar nel 2015. La scena è la seguente: Gioia e Tristezza, due delle cinque emozioni che vivono nella mente della undicenne Riley, si sono perse nella sua memoria a lungo termine e tentano disperatamente di raggiungere la stazione ferroviaria e prendere un treno per tornare da Rabbia, Paura e Disgusto nel quartier generale delle emozioni. Durante la loro perlustrazione incontrano Bing Bong, il simpatico amico immaginario d’infanzia di Riley che, dopo aver perso il razzo sul quale insieme a lei volava verso fantastiche avventure, si lascia andare ad un momento di grande tristezza.
Tristezza: “Mi dispiace che abbiano preso il tuo razzo. Ti hanno preso qualcosa che amavi. È sparito per sempre”
Gioia: “Tristezza! Non farlo stare peggio!”
Bing Bong: “È tutto quello che mi restava di Riley”
Tristezza: “Tu e Riley avrete sicuramente vissuto avventure fantastiche”
Bing Bong: “Oh… meravigliose! Una volta siamo tornati indietro nel tempo e abbiamo fatto colazione due volte”
Tristezza: “Incredibile! A Riley dev’essere piaciuto molto”
Bing Bong: “Oh sì, tanto… eravamo amici del cuore… “
Tristezza: “Sì… è triste…”
[Bing Bong piange a dirotto abbracciando Tristezza]
Bing Bong: “Oh… sto meglio adesso… venite, ora posso accompagnarvi alla stazione ferroviaria”
Gioia (rivolgendosi a Tristezza): “Come ci sei riuscita?”
Tristezza: “Non lo so… lui era triste, così l’ho ascoltato…”
Questa conversazione è ciò che fin dalla prima visione del film mi ha fatto decidere che Tristezza sarebbe stata il mio personaggio preferito. Credo che queste parole siano un vero e proprio elogio alla tristezza, messa a nudo e presentata nella sua incredibile funzione positiva e catartica. Quello che forse solo pochi sanno è che dietro alla realizzazione di questo film d’animazione si celano profonde riflessioni e un attento studio, tanto che gli autori hanno richiesto la collaborazione di Paul Ekman, psicologo statunitense noto per l’elaborazione della Teoria Neuroculturale sulle emozioni: questa teoria sostiene che esistano sei emozioni di base universali a tutti gli esseri umani e riconoscibili nelle espressioni facciali che ciascun uomo e ciascuna donna di qualsiasi angolo della terra (ad esempio quelli che popolano la Papua Nuova Guinea, dove per l’appunto Ekman si recò) manifestano quando sperimentano gioia, tristezza, rabbia, disgusto, paura e sorpresa. Le ricerche di Ekman furono realizzate seguendo le tracce degli studi di Darwin condotti all’incirca cento anni prima e aggiunsero al principio dell’universalità delle espressioni facciali un ulteriore tassello: si parla infatti di teoria neuroculturale perché secondo l’autore esistono anche delle regole sociali apprese nel contesto in cui un individuo cresce, dette display rules, che possono plasmare la manifestazione delle emozioni in base alle situazioni vissute. Si tratta perciò di un mix tra universalità biologica e apprendimento culturale.
Ciò che ci insegna Tristezza è in realtà il messaggio più antico e vero del mondo, e cioè che non si può sapere cos’è la gioia se non conosciamo prima le difficoltà, che non si può sapere se un cibo è dolce prima di aver assaggiato anche il sale, che non sappiamo cos’è la luce finché non viviamo nel buio. Ecco perché sperimentare la tristezza è così fondamentale nella ricerca di equilibrio e ai fini di una terapia che possa essere funzionale per il paziente che si reca dallo psicologo in cerca di aiuto. In un mondo come quello occidentale pervaso dall’obbligo di essere allegri, di mostrarsi sempre soddisfatti e realizzati, di non lasciar trasparire mai alcun segno di debolezza, la display rule del sembrare costantemente e ad ogni costo felici ha ormai soffocato il bisogno di essere tristi, di piangere inconsolabilmente e di concedere a se stessi il privilegio di rispondere alla domanda “Come va?” con un sonoro e sincero “Male… oggi va male”, abbandonando quindi l’idea che si debba sempre e convenzionalmente dire che le cose vanno bene o, al massimo, che tutto sommato si tira avanti come si può.
Bing Bong ci insegna che quando perdiamo qualcosa alla quale teniamo veramente, quando ci viene portato via qualcosa che amiamo non serve fingere di stare bene e di essere forti ma ciò che serve è lasciarci andare ad un pianto a dirotto abbracciando tristezza e parlandone. E poi tutto passa.
ALICE ARATTI