Era il 20 febbraio. Sì, di quest’anno, che da subito ho immaginato meraviglioso, come la mia rinascita, e che invece mi ha completamente travolta.
Era il 20 febbraio il giorno che aspettavo da sempre. La mia laurea magistrale. Ero lì, circondata da tutte le persone che mi vogliono bene, prima ansiosa, poi felice quasi da scoppiare. La commissione che si è complimentata, gli abbracci, le lacrime, i festeggiamenti.
Ma dopo neanche 24 ore, tutto era diverso, tutto veniva ricoperto da un velo grigio. Primo caso di Coronavirus a Codogno.
Ormai lo chiamiamo tutti “mostro invisibile” questo virus, per me è stato un grande muro difficile da scavalcare.
Ho sognato per mesi quelle giornate con la mia famiglia a Milano, che invece abbiamo trascorso chiusi dentro casa.
Ho immaginato per mesi la mia festa di laurea che avevo organizzato nel giorno del mio compleanno e che invece, non solo ho dovuto annullare, ma ho festeggiato il compleanno spegnendo una candelina in videochiamata con la mia famiglia. Ho fatto una torta, ho messo su una candelina che avevo in casa e mentre i miei familiari mi cantavano “tanti auguri” l’ho spenta.
Eppure oggi, a distanza di un po’ di tempo da quando tutto questo è cominciato, mi ritengo fortunata. Perché il “mostro” mi ha ostacolata, ma fino ad ora non mi ha colpita. Perché io quel 20 febbraio l’ho vissuto in prima persona, ho festeggiato e ho gioito, a differenza di tanti miei amici e colleghi che dopo anni di fatica e di lavoro sono stati costretti a vivere la loro laurea dietro un pc. Mi ritengo fortunata perché in fondo io quella candelina l’ho spenta, mentre migliaia di persone si ritrovano in un letto d’ospedale, molte muoiono completamente da sole, inconsapevoli che l’abbraccio con le persone care sarebbe stato l’ultimo. Mi ritengo fortunata perché nonostante queste giornate siano lunghe, non bisogna andare a combattere, non bisogna rischiare, non bisogna farsi male, è necessario solo stare a casa, nella propria casa, a cercare dei diversivi per trascorrere questo tempo e a fare magari tutte quelle cose per cui prima non c’era il tempo. Mi ritengo fortunata perché penso a tutte quelle persone che non ce l’hanno una casa e che quindi, inevitabilmente, rischiano ogni giorno.
Soprattutto mi ritengo fortunata perché sono un’insegnante di sostegno e tutta questa situazione mi sta dando la possibilità di percepire ancor di più l’amore dei miei bambini, attraverso i loro disegni, i loro messaggi pieni di nostalgia e di parole che valgono più di qualsiasi bene materiale.
Probabilmente sarà ancora lunga, ma so per certo che, dopo questo incubo, il primo giorno di rientro a scuola, il primo caffè al bar, il primo aereo preso per tornare a casa, il primo abbraccio, avranno un colore diverso, avranno quel valore che troppe volte viene sottratto a quelle cose che, erroneamente, riteniamo normali.
Cristina Fratto