CAVILLI DI RAZZA: Il pianeta dove scomparivano le cose.

Roberto Casato e Achille Varzi avanzano un’ipotesi che potrebbe far luce su di un crimine rimasto finora impunito: il furto delle lucine che addobbavano l’albero di Natale in un piccolo condominio cittadino. Il cartello esposto dalla Custode non lascia al riguardo alcun dubbio. Qualcuno si è “appropriato” delle luci.
Ma se le cose non stessero così e fossero state le lucine a decidere di andarsene ? Perché questo è lo spunto di riflessione suggerito dai nostri due Autori: “Molti anni fa, su un pianeta molto distante dal nostro, accadde una cosa veramente strana…” (Casati, R. – Varzi, A., Il pianeta dove scomparivano le cose, Torino, Einaudi, 2006): le cose avevano cominciato a scomparire. Il borsellino, la scopa, le chiavi dell’auto, un libro. Come se – all’improvviso – avessero deciso di andarsene, stufe del mondo organizzato e gestito da umani ottusi, invadenti e poco rispettosi dei bisogni delle cose stesse.
Immaginiamo che da quel pianeta lontano lontano, la voce sia arrivata fin dalle nostre parti. Ecco allora che, tanto per fare un esempio, tutti i furti di portafogli o di cellulari regolarmente (e inutilmente) denunciati, non sono in realtà furti, ma ben meditate fughe. “Basta” – potrebbero aver iniziato a pensare i cellulari – esser compagni di essere viventi che ci usano senza un minimo criterio. Si vanno a schiantare contro i piloni dell’autostrada per rispondere al nostro segnale di chiamata in arrivo per dire poi soltanto che “sono tra Parma e Piac…”. Piacenza si intuisce appena, nel fragore dello schianto improvviso. Meglio andarsene, potrebbero aver iniziato a pensare i telefonini. Sarebbero così dispensati dall’ascoltare ore e ore di conversazioni inutili e assurde, mentre agli umani sarebbe risparmiata l’onta di specchiarsi giornalmente nella propria stupidità.
Analogo ragionamento potrebbero aver fatto i portafogli: cominciano a essere stanchi dell’essere aperti ed essere coinvolti in spese il più delle volte addirittura avvilenti. E così anche le nostre lucine di Natale: “Che noia questo ossessivo accenderci e spegnerci. Per festeggiare che cosa, poi ? Una sola volta all’anno tutti buoni e solidali. Per le altre trecentosesantaquattro giornate, che ognuno faccia il proprio comodo, del tutto insensibile e indifferente all’altro. Anche noi – come tutte le altre nostre sorelle-cose – ce ne andiamo.”
Non ce ne siamo ancora resi del tutto conto, ma le cose cercano da tempo di ri-educarci. Tentano, per ora con scarsi risultati, di farci capire che dobbiamo farcele amiche – le cose – e non, al contrario, farne oggetti deputati a peggiorare la qualità del nostro tempo vissuto.
Proviamo per un momento a vedere con sguardo diverso tutto ciò che ci infastidisce, sia durante le ore passate al lavoro come nel nostro tempo intimo e famigliare. Quando le cose non girano per il verso giusto, stanno forse tentando di dirci qualcosa. Stanno cercando – forse – di farci capire che sarebbe meglio cambiare logica, prospettiva, progetto. Ma noi resistiamo e, caparbi, insistiamo, praticando violenza su noi stessi, sugli altri e sulle cose stesse. Che decidono così di andarsene.
Quando, in ufficio o allo sportello della nostra banca, non troviamo la penna solitamente accucciata nel confortevole taschino interno della giacca, è magari perché se ne è andata, stufa di scrivere banalità o di firmare assegni scoperti. Un bel vantaggio, per noi, il riuscire a decodificarne il messaggio. Non hanno la parola, oggetti e cose, ma una loro qual forma di personalità forse sì. O almeno è bello e utile immaginarlo.
Il tram non arriva ? Il treno è in ritardo ? il computer si impalla ? Il Server “cade” ? La “linea” è bloccata ? Sul più bello le batterie si esauriscono ? Il tutto non accade per spiacevoli e fortuite coincidenze. Al contrario, da sempre, mezzi, strumenti e oggetti cercano di liberarci dalla prigionia di un tempo artificiale, viziato, nocivo per la nostra e l’altrui salute.
E’ ormai confermato da osservazioni empiriche, il fatto che i terminali, una volta “accesi” alla mattina, impieghino spesso un bel po’ di tempo a diventare operativi. Con gran fastidio di operatori e clienti. Vogliono in realtà dirci: “Amico, almeno per oggi, lascia perdere. Ridiventa, per un momento, padrone del tuo tempo. Pensa, immagina, fantastica, fuggi con il pensiero. Fatti venire delle idee, che – come tali – rifuggono dagli schemi informatici.” Niente da fare. E’ troppo forte l’abitudine di essere nemici di noi stessi. E così, per l’ennesima volta, obblighiamo la macchina (che ha tentato di esserci amica) a riprendere il proprio ruolo di carceriere della nostra mente. Peccato.
C’è però ancora una speranza: che da quel pianeta lontano lontano, dove le cose scompaiono, continuino a inviarci messaggi e segnali che – chissà – prima o poi riusciremo a comprendere e far nostri.
Di recente si è fatta un’altra straordinaria scoperta: un tempo (ma molto, molto tempo fa) sulla terra non c’erano le ombre. Da dove sono arrivate, allora, le ombre ? Da un altro pianeta.
Prima che le ombre arrivassero sulla terra, la vita dalle nostre parti era un vero e proprio inferno: c’era luce ovunque, anche sotto gli alberi e sotto l’ombrellone; le meridiane non funzionavano e l’inventore delle ombre cinesi tirava a campare. Un bel giorno, e per fortuna di tutti, le ombre decisero di venire sulla terra, anche loro “stufe” (come a loro modo le “cose”) di vivere in un mondo tutto buio. Senza la luce, le ombre erano private della possibilità di ri-conoscersi. Tutto, in quel mondo, era tenebroso e uniformemente scuro. Gli abitanti si scontravano sui marciapiedi e anche lì le meridiane non funzionavano, nessuno riusciva a abbronzarsi e l’inventore delle ombre cinesi tirava a campare. La decisione fu presa in un battibaleno e con una astronave (che di ombre ne conteneva una quantità straordinaria dato che le ombre stesse sono sottilissime) giunsero sulla luminosissima terra. Giocherellone per natura, ogni ombra si attaccò a qualcuno o a qualcosa. Hanno cominciato a seguire uomini e donne, imitando tutto quello che facevano. Da allora, non ci fu più nulla sulla terra che non avesse un’ombra.
Una qualsiasi organizzazione umana, per vivere, deve poter riconoscere le proprie luci e le proprie ombre. Così come ogni persona deve aver ben chiaro il concetto che – senza la possibilità del confronto tra punti di vista anche diametralmente opposti – tutto annegherebbe nella piatta e illusoria omogeneità di intenti.
Da due pianeti lontani ci giungono di continuo indicazioni e messaggi che sarebbe bene iniziassimo a far nostri: ascoltare le cose che accadono e prendere amichevole dimestichezza con le nostre ombre.
Curioso come – alle volte – vaneggiare possa essere utile.

Lo Spirito Folletto

 

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