DISTRATTI DA MILLE ATTESE ILLUSORIE (ANGELI, TROMBE E IL VIVERE DA VOLONTARIO)

Capita, alle volte, di starcene in apparente stato di quiete: quando siamo in lista d’attesa all’aeroporto; o quando attendiamo il nostro turno all’ufficio postale, rigirando tra le mani il tagliando con il numerino magico.
O ancora:
– in coda al supermercato;
– in attesa di un treno in ritardo (e l’annuncio all’altoparlante della stazione “ci scusiamo per il disagio” non basta a contenere il disappunto);
– nella sala d’aspetto di uno studio medico;
– in attesa del telegramma dell’ufficio del personale con il quale siamo convocati al primo colloquio di selezione;
– in attesa di una telefonata;
– in attesa del passaggio di categoria;
– in attesa della pensione;
– essere madre in attesa;
– in attesa di essere convocati dal magistrato;
– in attesa dell’amata (dell’amato);
– in attesa di una parola o di un gesto;
– in attesa della cassa integrazione;
– in attesa di un Godot dispettoso.

Ogni tipologia di attesa può essere accompagnata da desiderio o speranza.
O anche da un forte timore: “Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo per circa mezz’ora”: all’improvviso tutto l’universo, attonito, resta in attesa del consumarsi dell’ira di Dio.
Così si legge nell’Apocalisse di Giovanni.
E contro un Dio infuriato non resta che attendere il farsi della Sua volontà. Meglio se in un rispettoso silenzio.
“ E io vidi i sette angeli che stanno davanti a Dio: a loro furono consegnate sette trombe” : così prosegue Giovanni nel suo Apocalisse.
Gli angeli, le trombe e una diffusa condizione di ansia d’attesa: esattamente ciò che potremmo sperimentare in numerosi momenti del nostro vivere moderno. Come in una delle straordinarie metafore kafkiane, quando all’ippodromo di Clayton “dalle sei di mattina a mezzanotte, viene assunto personale per il Teatro di Oklahoma…e dinnanzi all’ippodromo era costruito un podio lungo e basso sul quale centinaia di donne, vestite da angeli, con ampi costumi bianchi e grandi ali sulla schiena, suonavano con lunghe trombe d’oro.” (America)
Gli angeli vengono spesso rappresentati mentre suonano una tromba, strumento musicale usato per scandire i principali momenti della giornata o annunciare grandi eventi. Sarà un caso che Kafka – per riassumere le linee portanti di un processo organizzativo (la selezione del personale) – faccia riferimento a simboli di natura apocalittica? Non potremo mai saperlo. Però è un fatto. E si tratta di un’ipotesi che pone un problema di un certo interesse: in greco, apokalypto sta a significare lo scoprire, lo svelare, il mettere in chiaro.
E in italiano, “1. titolo o designazione di scritti, canonici o apocrifi, contenenti rivelazioni relative ai destini ultimi dell’umanità e del mondo; 2. come termine di riferimento o di confronto, catastrofe, rovina totale, fine del mondo.”
E’ allora lo svelare, lo scoprire che – da sempre – è ragione di turbamento per uomini e donne. E forse è questa la ragione per la quale anche le maschere inquietano, proprio perché la maschera non nasconde, ma svela. Di qui, al ruolo organizzativo ricoperto, il passo è breve: il ruolo ha, infatti, a che vedere con l’interpretazione attoriale. E tutto ciò che viene messo in scena sul palcoscenico della vita, porta sempre con sé qualche forma di (sana?) inquietudine.
Ma la rivelazione ultima e definitiva dei destini del mondo, non dovrebbe – in sé e per sé – suscitare alcun panico. A meno che il mondo stesso non abbia la coda di paglia, non si senta in una qualche misura in colpa e sia ben consapevole che, alla fine del tempo, i nodi verranno al pettine: le malefatte non possono essere celate all’Essere che per definizione tutto sa e tutto conosce.
Su scala molto più circoscritta, è esattamente ciò che accade nelle organizzazioni umane: ciascun abitante della casa aziendale e associativa sperimenta – a tratti – l’ansia collegata al dover rendere conto di un piano o di un progetto non andato a buon fine. Per fortuna di tutti, al vertice della piramide organizzativa non vi è mai l’ Essere supremo e giudice inflessibile. Per cui nelle vicende umane vi è sempre la speranza di farla franca: attribuendo, per esempio, la responsabilità dell’insuccesso a variabili indipendenti dalla nostra volontà e contro le quali nulla avremmo potuto fare. E’ un giochetto che vale quel che vale: giunti al termine ultimo del viaggio, dovremo render comunque conto dei nostri misfatti.

Seguiamo ancora per un po’ Giovanni e il suo Apocalisse: si tratta di una grande e suggestiva metafora di tutto ciò che ancor oggi accade, oltre che nella vita del pianeta, anche nelle dimensioni del lavoro, aziendali e organizzative.
Colui che siede sul trono ha nella mano destra un libro scritto dentro e fuori e chiuso con sette sigilli. Solo l’Agnello è in grado di aprirlo e si tratta di un agnello eretto (vivo) e contemporaneamente sgozzato (morto): il segno dell’immolazione indica la via e la causa necessaria alla vita.
L’umanità si è comportata nel complesso veramente male ed ora il conto viene presentato: all’apertura del primo sigillo, ecco apparire un cavallo bianco e un cavaliere armato di arco; aperto il secondo sigillo, ecco un cavallo rosso fuoco e chi lo cavalcava – brandendo una grande spada – portò via la pace dalla terra; e poi seguirono un cavallo nero e uno verde. L’ultimo cavaliere aveva nome Morte.
Nell’Apocalisse di Giovanni – come del resto in tutti gli altri scritti evangelici, canonici o apocrifi che siano – i simboli sono numerosi. Cerchiamo di rintracciare quelli che in qualche modo potrebbero interessare anche la riflessione sullo stato di salute delle attuali organizzazioni umane.
Limitiamoci ai seguenti: il cavallo, la tromba e l’angelo.
L’ipotesi di lavoro è che anche nelle strutture organizzative moderne (associazioni di volontariato comprese) si possano sentire gli echi di un simile e arcaico impianto simbolico.
Il cavallo
In origine, il cavallo è associato – nella memoria di tutti i popoli – alle tenebre, “sia che emerga dalle viscere della terra o che scaturisca dagli abissi del mare. Figlio della notte e del mistero, il cavallo archetipico è portatore sia di morte che di vita, legato al fuoco – distruttore e trionfatore – e all’acqua, che nutre o annega”.
Riassumendo da Chevalier e Gheerbrant : quando il simbolo viene valorizzato in termini negativi, il cavallo diviene l’espressione di una potenza infernale e espressione di morte. La maggior parte dei cavalli della morte, sono neri. Ma vi sono anche – come nella visione apocalittica di Giovanni – cavalli bianchi, o più correttamente, “lividi”: come un sudario o un fantasma e questo candore è analogo al nero, nell’accezione più corrente.
E’ un animale dai poteri magici, divinità delle acque, cavalcatura degli dei, destriero solare; può simboleggiare il desiderio liberato: “Al limite, i termini ‘cavallo’ o ‘puledro’, o ‘giumenta’ e ‘puledra’, possono assumere un significato erotico che ha la stessa ambiguità del verbo cavalcare”.
I cavalli saggi, infine, possono fornire aiuti preziosi.
Si tratta di un impianto simbolico che rinvia a dimensioni presenti in qualsiasi organizzazione umana: l’eros, la vita e la morte dell’impresa (spesso sintetizzate dall’andamento del fatturato), la consulenza che (non sempre…) fornisce aiuti preziosi.

La tromba
Abbiamo già visto che scandisce il tempo, segnandone i passaggi fondamentali. Associa il cielo e la terra, annunciando l’inizio della battaglia, che ha sempre e comunque un carattere sacro. Congiunge elementi importanti: l’aria, il soffio, il suono.
Una volta, nelle fabbriche, era la sirena a scandire l’inizio e la fine della giornata lavorativa. Negli uffici, lo scatto rumoroso della cartelliera-orologio. Ora è tutto più subdolamente silenzioso: il software governa entrata, permanenza e uscita dal proprio tempo di lavoro.
E poi vi è il richiamo al cielo e alla terra, in un’ottica di congiunzione. Questo strumento metallico sembra favorire, quasi annunciare, la possibilità di contatto tra l’empireo dove vivono le altissime gerarchie e le fasce basse dell’organigramma. E poi: anche quando in azienda o in associazione “tira una brutta aria” ecco che la tromba, con il soffio del musicista, la trasforma comunque in suono, il più delle volte gradevole.

L’angelo
Gli angeli sono esseri mediatori fra Dio e il mondo; sono spiriti dotati di un corpo etereo, aereo e degli uomini potrebbero avere solo l’apparenza. Le loro funzioni sono quelle di ministri di Dio: messaggeri, guardiani, conduttori di astri, esecutori di leggi, protettori degli eletti e sono organizzati in gerarchie celesti.
Dionigi Areopagita è stato al riguardo molto preciso: la piramide gerarchica con al vertice Dio, è costituita da nove livelli di ordini, le cosiddette Milizie celesti.
I serafini sono gli spiriti della prima gerarchia e si muovono con ardore intorno a Dio; i cherubini esprimono l’attitudine a contemplare Dio; i troni esprimono il loro perfetto distacco dalla terra e il loro stabile dimorare presso Dio. Cantano inni e trasmettono l’illuminazione agli ordini inferiori; le dominazioni sono libere da ogni oppressione e si muovono intorno a Dio; le potenze indicano il coraggio nell’imitare e nel servire Dio; le potestà sono gli spiriti che esprimono il dominio sui nemici e che, proprio per questo, sono calmi nel ricevere il dono di Dio; i principati hanno il compito di guidare; gli arcangeli partecipano alla missione dei principati e alla missione degli angeli; gli angeli sono gli spiriti dell’ultimo ordine e sono veri e propri “messaggeri”, in genere di buone notizie.
Questa è l’organizzazione gerarchica celeste, secondo Dionigi.
E l’organizzazione gerarchica delle realtà organizzative umane ? Non molto diversa: i livelli categoriali (per esempio, del contratto dei metalmeccanici) sono otto. Se vi aggiungiamo i Quadri, ecco che si ritrova un’esatta corrispondenza: nove i livelli della gerarchia celeste, nove quelli delle gerarchie umane. E poi: chiunque abbia anche una minima esperienza di lavoro, ha senz’altro conosciuto colleghi che esprimevano l’attitudine a muoversi con ardore intorno al capo, piuttosto che caratteristici per il loro perfetto distacco dalla terra. E la faccenda non è molto diversa nelle realtà associative, dove – a parole, ma solo a parole – + assente il modello gerarchico in senso stretto.
Il modello “umano”, ispirandosi direttamente al modello teologico, prevede una sicura fluidità nel passaggio delle informazioni dall’alto verso il basso, ma non dal basso verso l’alto. L’equivoco consiste nel fatto che – al vertice della piramide di Dionigi – vi è Dio, che per definizione tutto sa, tutto conosce e tutto può. Non altrettanto anche il migliore dei presidenti o degli amministratori delegati. Che, per svolgere bene il proprio lavoro, ha bisogno di informazioni dal basso. Che in genere non gli giungono o, se e quando gli giungono, gli pervengono filtrate e distorte dai livelli intermedi.

Riprendiamo ora il ragionamento intorno al concetto di “attesa”, concetto del tutto estraneo alle Milizie celesti: ciascun ordine gerarchico è così da sempre e sempre così sarà. I cherubini non sono certo in attesa del passaggio di categoria…Noi, invece, uomini e donne, no . Ci piacerebbe – è vero – vivere tranquilli e felici in un mondo che non cambia. Ma così, in questo nostro mondo terreno, non è e non potrà mai essere. Noi siamo abbracciati alle nostre attese, spesso dolorosamente illusorie. E spesso aspettiamo quel benedetto passaggio di categoria o di assunzione di una maggiore responsabilità che tuttavia tarda ad arrivare.

Se ci si pensa, nessuno conosce dove sia ubicata l’ultima stazione del nostro viaggiare terreno: “Amici, credo che sia/meglio per me cominciare/a tirar giù la valigia./Anche se non so bene l’ora/d’arrivo, e neppure/conosca quali stazioni/precedano la mia/sicuri segni mi dicono…/ch’io vi dovrò presto lasciare. “ (Caproni)
Questa sensazione l’ha di certo sperimentata anche il Cavaliere Antonius Block, l’interprete principale de Il Settimo Sigillo.

Il film di Ingmar Bergman, (1957), inizia con la precisa citazione dall’Apocalisse di Giovanni cui abbiamo già fatto riferimento: “Quando l’Agnello aperse il Settimo sigillo, nel cielo si fece un silenzio di circa mezz’ora…” Questo tempo di attesa, Antonius Block lo utilizza per sfidare la Morte a giocare una partita a scacchi:

Cavaliere: Chi sei?
Morte: Sono la Morte
C.: Sei venuta a prendermi ?
M.: E’ da molto che ti cammino al fianco
C.: Me n’ero accorto
M.:Sei pronto ?
C.: Il mio spirito lo è, non il mio corpo…Dammi ancora un po’ di tempo
M.: Tutto lo chiedono, ma io non concedo tregue
C.: Tu giochi a scacchi..
M.: Come lo sai ?
C.: L’ho visto nei quadri, lo dicono le leggende
M.: E’ vero, come è vero che non ho mai perduto un gioco
C.: Anche la morte può commettere un errore
M.: Perché vuoi sfidarmi ?
C.: Te lo dirò se accetti

Chiede tempo, il Cavaliere, e il tempo guadagnato si sforza di impiegarlo nel miglior modo possibile: la partita inizia e gli eventi si succedono fino al termine del gioco:

M.: Ho da darti una notizia interessante:ho vinto, ti do scacco matto
C.: E’ vero
M.: Sei rimasto contento della proroga ?
C.: Sì, sono contento
M. Mi fa piacere. Ora ti lascio. Quando ci incontreremo di nuovo, il vostro tempo sarà scaduto, il tuo e quello dei tuoi compagni di viaggio
C.: E tu ci svelerai i tuoi segreti ?
M.: Non ho segreti da svelare.
C.: Così non sai niente ?
M.: Non mi serve sapere.

L’incontro avverrà qualche tempo dopo, nel castello del Cavaliere. Antonius Block, sua moglie Karin, Plog il fabbro e Lisa, sua consorte, lo scudiero Jons e la sua ragazza, siedono tutti intorno a una tavola, in una stanza semibuia, rischiarata soltanto da qualche torcia fissata al muro. Mangiano in silenzio il pane duro e la scura carne salata.
Sono tutti in un’attesa che si rivelerà, di lì a poco, l’ultima.
Karin legge ad alta voce: “ E quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece nel cielo un silenzio di circa mezz’ora. E vidi i sette angeli che suonavano dinnanzi a Dio, e furon loro date sette trombe…E il primo angelo diede fiato alla tromba, e ne venne grandine e fuoco misto a sangue, e furon gettati sopra la terra, e la terza parte della terra fu arsa,e la terza parte degli alberi fu arsa e fu arsa tutta l’erba verdeggiante…”
La lettura di Karin prosegue : “E il terzo angelo diede fiato alla tromba. E dal cielo cadde una stella grande e ardente come una fiaccola. La stella si chiamava Assenzio…”
Nella penombra della sala appare il nobile signore, cui il Cavaliere dà prontamente il benvenuto. Tutti si presentano, manifestando grande rispetto. Il tempo è proprio scaduto e la vita sta ormai per assentarsi in via definitiva. E’ ciò che del resto viene anticipato metaforicamente dalla stella chiamata Assenzio: l’assenzio è una pianta aromatica che indica la mancanza di ogni dolcezza; rappresenta il dolore sotto forma di amarezza, dolore provocato soprattutto dall’assenza. E un’attesa mal vissuta porta a sperimentare forme di assenza dolorosa.

Di tutti i compagni di viaggio del Cavaliere Antonius Block, si salva solo la famigliola di un giocoliere: Jof, Mia e il figlioletto Mikael. E si salva in quanto Jof aveva visto – in un qualche modo, sognando – ciò che nessuno aveva potuto vedere. Aveva cioè potuto accorgersi che il Cavaliere giocava a scacchi con la morte. Di qui, la decisione di fuggire nella notte, sperando che la Morte non se ne accorgesse. E così avvenne.
L’ultima scena del film si conclude con il carro di Jof, Mia e Mikael che si allontana lungo la spiaggia, con Mia che, sorridendo, si rivolge a Jof: “Tu, con tutti i tuoi sogni e le tue visioni!”
Morale della favola: occupare parte del nostro tempo sognando (anche a occhi aperti), può salvarci. E questo vale anche per chi, in qualsiasi tipo di organizzazione, ricopre ruoli di responsabilità: guardare fuori dalla finestra è un lavoro che spesso si dimostra fruttuoso.

Lo Spirito Folletto

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