CAVILLI DI RAZZA: BUSSOLE, MOVIMENTI E CANTO DELLA MENTE

L’andare alla Posta per spedire una raccomandata o pagare un bollettino di conto corrente, può alle volte riservare piacevoli e gradite sorprese.
In uno dei tanti Uffici Postali che punteggiano il territorio, la Direzione si è sentita in dovere di affiggere il seguente cartello:

AVVISO ALLA CLIENTELA

“In entrata e in uscita dall’Ufficio, all’interno della bussola si prega gentilmente di non rimanere immobili per permettere ai sensori di rilevare il movimento e consentire l’apertura delle porte.
Grazie.”
La potenza della metafora esistenziale è di certo sfuggita al gentile Funzionario: il rimanere immobili, nella vita, comporta il fatto che non si apriranno mai le porte di quell’enorme bussola che è il mondo in cui vediamo scorrere, giorno dopo giorno, il nostro tempo mortale. Il problema è che non ce ne accorgiamo: crediamo di muoverci; pensiamo che le porte siano aperte, ma nella realtà siamo immobili, come del tutto chiuse sono le porte attraverso le quali dovremmo e vorremmo passare.
Il falso movimento è ciò che spesso ci caratterizza. Il nostro corpo – è vero – se ne va di qua e di là; lo si costringe a correre, a mangiare nella pausa pranzo in un tempo digestivo da record, a sottoporsi a uno stress continuo. In famiglia come al lavoro, ci si deve muovere, e per di più velocemente.
Ma non si tratta di quel vero movimento richiamato dalla metafora dell’Ufficio postale: che, al contrario, non implica tanto il muoversi del corpo, quanto piuttosto il muoversi del pensiero e della mente. I sensori dell’esistenza rilevano di certo il nostro movimento fisico (come i sensori del nostro Ufficio postale) ma rilevano e fotografano con molta maggior precisione il pentagramma del pensiero. Che è un succedersi di note, un continuo alternarsi di pieni e di vuoti. E’ solo intonando infatti il canto della mente che possiamo sperare di aprire quelle poche ma essenziali porte che danno su una vita migliore.
Perché questo ci crea così grandi difficoltà ? Perché ci è così difficile il solo pensare ad un nostro effettivo movimento ? D’altronde, già Vico osservava che Cartesio non avrebbe dovuto dire Penso, dunque sono, quanto piuttosto Penso, dunque esisto. Differenza sottile tra quell’essere e quell’esistere, sottile ma significativa. L’esistere implica e presuppone una maggiore attività rispetto all’essere; comporta, necessariamente, un’interazione dialettica con il mondo in cui si vive e con le persone che si incontrano. Implica e presuppone, quindi, quel movimento che i sensori delle varie bussole sono predisposti a cogliere.
Ma perché, dicevamo, è cos’ difficile questo muoversi ? Per una variante diffusa della cultura del sospetto. Ed è per questo timore (che a tratti si muta in vera e propria paura) che tendiamo a stare fermi e immobili. Come fa la maggior parte degli animali quando si sente minacciata. La civetta, addirittura, nel caso percepisca una situazione stressante, si addormenta. Immobilismo indotto, quindi.
E il sospetto è tale che trova riscontro in documenti aziendali istituzionalizzati. Per esempio, nel contratto stipulato da una grande società di servizi a tutti nota (ma di cui non è bene fare il nome: siamo sempre nel campo dei sospetti…) con una società di formazione (e anch’essa è bene rimanga anonima…), è testualmente scritto: “…Vi obbligate a restituire tutti i dati, documenti e informazioni forniti o comunque posseduti ai fini dell’esecuzione delle attività e a distruggerne tutte le copie e record…” Richiesta che risulterebbe anomala anche nei più segreti settori della ricerca militare. Almeno per la semplice considerazione che un’imposizione di questo genere è operativamente inefficace. Chi potrebbe verificare se e quando non venisse rispettata? Ma si tratta, con evidenza, di cavilli legali che aiutano i moderni Azzeccagarbugli a procacciarsi commesse legali.
Siamo proprio una specie animale sospettosa, il che ci porta a resistere al cambiamento e a preferire falsi movimenti.

Lo Spirito Folletto

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