Incontriamo nel suo studio, in pieno centro a Milano, il professor Giancarlo Trentini.
Difficile rendere sintetica la sua lunga carriera che lo ha portato, tra le tante attività, a scrivere e curare 256 pubblicazioni scientifiche, tra ricerche, saggi, volumi e readings; ad insegnare come Ordinario di Psicologia Generale presso l’Università degli Studi di Venezia Ca’ Foscari dal 1975 al 2003; a ricevere nel 2001 dalla Città di Milano la civica benemerenza nota come “Ambrogino d’oro”; ad essere Direttore della Collana di Psicologia Sociale della Franco Angeli e a collaborare con alcune case editrici italiane e internazionali; ad essere Presidente del Comitato Probiviri della Società Italiana di Psicologia dal 1993, nonché membro del Consiglio di amministrazione e Presidente del Comitato Italiano della Fondation de l’Italie alla Città Universitaria di Parigi…e tanto altro ancora.
L’intervista è stata pubblicata da HrLab, un periodico che ha cessato le pubblicazioni da tempo. Viene riproposta in quando il contenuto del dialogo riveste tuttora un proprio, specifico interesse.
Il professor Giancarlo Trentini è morto il 22 settembre del 2017, a 89 anni
Lei ha scritto molto sui vari tipi di colloquio …
Una delle prime cose che ho fatto, nel mio sentiero di ricerca, è stato proprio occuparmi di colloquio.
Argomento che mi appassiona sin dagli anni dell’università e su cui ho scritto molti trattati. Leonardo Ancona, il mio maestro, mi fece un corso apposito per la mia specializzazione, e lo ricordo ancora nitidamente nonostante siano passati più di 50 anni.
Purtroppo devo esordire con il segnalare che l’argomento è complesso e difficile.
Non è una passione neutrale. Non è solo culturale e libresca come pensano quasi tutti, niente di puramente razionale. Coloro che credono solo nella ragione, nell’intelligenza, nel pensiero, nella dialettica cerebrale, magari nel cognitivismo, mi fanno solo sorridere e adesso divento polemico…(lo dice in tono ironico).
Io sono del partito, diciamo così, che dà la precedenza ai fattori emozionali, affettivi. Sono importanti le dinamiche profonde, talvolta e spesso inconsce. Credo poco nei questionari.
Non mi prenda solo alla lettera, è una dichiarazione leggermente scherzosa e polemica da parte mia nei confronti dei colleghi che credono che conti solo ciò che è razionale.
La neutralità è impossibile; come dico sempre, è morta con Weber.
Quindi in un colloquio o in un’intervista non è pensabile mantenere un atteggiamento neutro?
Come se lei non mi influenzasse. Scusi se metto un po’ di sarcasmo e ironia nelle mie risposte.
“Il principio di indeterminazione psicologica afferma che noi non conosciamo mai gli altri, ma solo il nostro rapporto con loro. E poiché entrando in rapporto con loro noi “influenziamo” (cioè esercitiamo un potere), noi non riusciamo mai a conoscere gli altri senza influenzamento (cioè senza gli effetti del nostro potere su di loro). Ma, d’altra parte, anche coloro che entrano in rapporto con noi ci influenzano e quindi noi non riusciamo mai a conoscerli senza esserne influenzati (cioè senza subire il loro potere).
…Questa impossibilità di conoscere gli altri, …costituisce il principio di indeterminazione psicologica, simile a quel principio di indeterminazione di Heisenberg che tanta importanza ha avuto nella moderna fisica teorica.” (Le citazioni sono tutte tratte da: “Manuale del colloquio e dell’intervista” , a cura di Giancarlo Trentini, Utet Libri, edizione del 1995)-
Ma se lei non m’influenzasse, questo colloquio sarebbe drammaticamente fallito. E ho usato di proposito la parola colloquio e non la parola intervista.
Infatti, bisogna fare una precisazione importante sui due termini.
Consideriamo l’intervista lo scambio che avviene fra due o più persone, intorno ad un argomento, ad un tema in cui una parte vuole chiedere e l’altra vuole rispondere.
Quando facciamo un’intervista si dovrebbe dare la precedenza e l’attenzione ai contenuti, alle informazioni.
Il colloquio invece è quel tipo di situazione e d’incontro tra due o più persone dove l’attenzione viene posta sui processi. E la differenza tra processi e contenuti è fondamentale.
“…in molti casi hanno diritto di cittadinanza sia l’intervista concepita più particolarmente come mezzo di raccolta di un certo tipo di informazioni, quelle riguardanti i contenuti, sia il colloquio inteso come mezzo di raccolta di un altro tipo di indicazioni, quelle riguardanti il processo. I due tipi di metodologia si riveleranno più validi e convenienti a seconda dei casi: e molto spesso si avrà una complementarietà degli approcci…
Il colloquio-intervista è un mezzo di ricerca e di intervento che implica e comprende in ogni caso un’interrogazione (esplicita o implicita che sia, ancorché negata) è diretta a conoscere determinati aspetti passati o presenti dell’esistenza del soggetto e a trarre una conoscenza e/o un cambiamento della sua realtà psicologica nel contesto in cui vive; il rapporto (anch’esso esplicito o implicito che sia, ancorché denegato) è diretto allo scopo di avere riscontro e confronto interpersonale con l’interlocutore, che implichi anch’esso una conoscenza dichiarata o sottointesa e/o un cambiamento del modo di essere degli attori presenti nel campo.”
I contenuti sono le cose di cui si parla, i processi sono il modo in cui stiamo insieme, in cui ci influenziamo reciprocamente. Anche lei, non s’illuda di essere neutrale. Non può essere neutrale, per fortuna!
Ci sono delle regole per mantenere una certa neutralità?
Ovviamente ci sono e servono, ma sono di supporto. Non si può pensare che tutto sia riducibile a delle regole.
Che l’importanza verta sull’informazione e l’intervistatore abbia la capacità di non influenzare l’intervistato, è un discorso che vale fino ad un certo punto.
Anche quando si entra in una pasticceria per comprare delle paste si fa un’intervista. Infatti domandiamo sempre in modo distaccato:
“Sono fresche queste paste?”
E la risposta sarà inevitabilmente:
“Certo!” (ridiamo entrambi)
E’ una domanda che facciamo sempre, quasi senza accorgercene, perché serve a tranquillizzarci e a sedare il nostro rapporto con l’ignoto.
Così anche i colloqui si devono fare rispettando certe regole, che cambiano ovviamente a seconda del contesto e della relazione, se paritaria o in un rapporto di autorità, se lo si affronta in pubblico o in privato e così via.
Di esempi ce ne sono a centinaia, per non parlare dei rapporti e delle dinamiche che modificano i colloqui: tra padre e figlio, marito e moglie, datore di lavoro-sottoposto, insegnante-studente, medico-paziente…La materia è ricchissima; ne potremmo parlare appassionatamente per giorni.
Quindi spesso usiamo l’intervista e facciamo dei colloqui inconsapevolmente?
Tutti usano colloqui o interviste nella vita, e tutti i giorni!
Il colloquio dà la precedenza ai problemi di processo, l’intervista ai contenuti.
Ma a questo proposito mi viene in mente l’ispettore Maigret che dimostra come si possano adoperare i processi per avere informazioni più precise, e viceversa, o si chiedano informazioni per avere dei segnali sui processi emozionali.
Se uno pensa che si possa ridurre tutto a delle regole o a delle risposte, mi fa sorridere, talvolta anche piangere.
E’ cambiato qualcosa nel mondo del colloquio negli ultimi anni?
Molte cose sono cambiate perché è cambiata la cultura del mondo.
“Le idee chiare e distinte si rivelano per definizione un errore, in questo come in tutti i processi che tendono a cogliere la realtà umana nel suo presente e nel suo futuro”
Non c’è un manuale da consultare per darle una risposta. Questa è una domanda ciclopica. Alcune cose avvengono naturalmente.
Il mio modo di stare con la mia segretaria è sicuramente diverso, indipendentemente dalle mie velleità o miei desideri, da quello che aveva il mio bisnonno cento anni fa a parità di condizioni.
Così com’è impossibile pensare di confrontare un’intervista fatta oggi con una fra due persone di pari grado o mansioni di cinquant’anni fa.
Questo è un plus non un minus. Lo sforzo che hanno fatto molti scienziati per entrare nell’oggettività è molto importante, ma l’inseguimento di regole paramatematiche, oggettive, è proprio un’illusione.
Chi è l’intervistato e chi l’intervistatore?
La separazione dei due ruoli è un altro dei temi più difficili e più affascinanti su cui non possiamo, in questa occasione, fare un approfondimento. Non si dovrebbe svilire mai l’intervista o il colloquio.
E non può essere tutto riducibile alla sola “adr”, ovvero “a domanda risponde”. E’ la formula utilizzata nei verbali di polizia e carabinieri e negli atti giudiziari. Certo utile, ma non sufficiente.
Spero che il nostro sia stato un colloquio e non un’intervista, anche se lei ha fatto il possibile per farne un’intervista.
Chiedo al professore un altro incontro per parlare del gruppo. Prende l’agenda, assai fitta, e troviamo una data.
Uscendo, ho la consapevolezza di aver cercato di intervistarlo e di avere invece, come precisato da lui, fatto un colloquio.
La sua intelligente ironia ha contagiato anche me. Più tardi, nell’entrare in pasticceria, mi viene da sorridere.