CAVILLI DI RAZZA: DECALOGHI , ALBE IMPROBABILI E POSSIBILITA’ IMPOSSIBILI

In un’epoca che non possiamo non dire abbastanza sfilacciata per quel che concerne la dimensione etica e valoriale, è più che logico che, come illusoria contromisura, si diffondano voci e decaloghi riguardanti i più diversi aspetti del vivere sociale.
In una Scuola media superiore – per esempio – ne è esposto uno, in più copie e nei diversi corridoi, che recita esattamente così:

REGOLE DI COMPORTAMENTO IN CLASSE

1. Al suono del primo segnale, entra in classe in silenzio e senza masticare.
Sempre in silenzio deposita giubbotto, zainetto, cartella, parapioggia al posto dovuto.
2. Porta sempre con te tutto l’occorrente per le varie materie del giorno; perciò controlla il tuo diario prima di venire a scuola.
3. Alzati in piedi all’arrivo del professore e attendi il suo saluto o il permesso di sederti.
4. Non lasciare il tuo posto senza aver ottenuto l’autorizzazione dal professore
5. Ascolta l’insegnante quando parla e spiega o il compagno autorizzato a parlare; è educato e importante non interrompere o intervenire senza permesso.
6. Alza la mano quando vuoi chiedere una spiegazione o dire qualcosa e attendi che ti sia concesso di parlare.
7. Non interferire nel lavoro o nell’interrogazione degli altri.
8. Tieni sempre le mani sul banco, i piedi e le tue cose al posto dovuto. Metti ordine al termine delle lezioni.
9. Rispetta e tieni pulito il tuo banco e la sedia: ne sei responsabile.
Non dondolarti sulla sedia.
10. Alla fine della 3° e della 6° ora mettiti in fila per uscire di classe ed essere accompagnato dall’insegnante fino al punto stabilito per l’intervallo o per l’uscita.

Alla voce “parapioggia”, il Vocabolario della Lingua Italiana (Treccani) recita: “Ombrello per ripararsi dalla pioggia. E’ un francesismo oggi poco comune.”
Con quel “oggi poco comune”, viene svelato il mistero dell’Autore dell’anonimo manifesto: si tratta senz’altro di un buon vecchio fantasma, malinconico e illuso, che spera ancora – con una ammirevole determinazione – che bastino indicazioni perentorie e chiare per favorire il diffondersi di comportamenti educati e rispettosi, in classe come nella società.
D’altro canto, in questo come in tutti i casi in cui vengono date precise indicazioni di comportamento, il problema riguarda le sanzioni erogate in caso di violazioni. A che cosa va incontro, per esempio, il ragazzo che dovesse dondolarsi sulla sedia o dovesse entrare in classe masticando? Il bando non lo esplicita, e questo ne annulla l’efficacia (si tratta della dibattuta questione della certezza della pena…).

Non diversamente si pone il caso dei divieti e delle indicazioni riferite al comportamento stradale, cioè a come ci si dovrebbe comportare in quella grande “classe” costituita da strade, incroci e rotonde.
Segni e segnali richiamano regole e regolamenti che godono di minor autorevolezza rispetto alle tavole della Legge ricevute a suo tempo da Mosè sul monte Sinai. Anche perché i cartelli stradali, a volte risultano di una indubbia ambiguità. Oppure raccontano di una comica e inconconsapevole non curanza espressiva.
Se il segnale è ambiguo, il messaggio si perde nelle profondità del cosmo comunicativo.
A ciò si aggiunga che spesso segni e segnali richiamano elementi, fatti, circostanze e possibilità impossibili. Vengono cioè a tratti generati all’interno dello svilupparsi di leggende metropolitane. Segni e segnali che riconducono a vere e proprie bufale.
Ne fanno per esempio fede curiosi volantini. Si tratta di fotocopie e ciclostilati che, di tanto in tanto (se ne ha notizia a partire addirittura dagli anni Sessanta), vengono affissi nelle bacheche dei condomini. Obiettivo sarebbe quello di mettere sul chi va là inquilini e abitanti rispetto ai tentativi di furto che zingari e gitani avrebbero in animo di compiere.
Se vicino alle pulsantiere dei citofoni oppure sul marciapiede, si dovesse vedere un particolare “segno” (in genere fatti con il gesso), prestare particolare attenzione e avvertire le forze dell’ordine.
Naturalmente ciò riguarda il sistema di comunicazione segnico interno alla comunità dei nomadi.
Gli zingari non hanno però l’esclusiva del furto. E allora? Come tutelarsi rispetto ad altre comunità di ladri e ladruncoli che non usano comunicazioni così ingenuamente esplicite? Studi, riscontri, analisi e osservazioni mirate, proseguono nel più stretto riserbo.
Ma questi supposti codici degli zingari narrano anche di altro. Dicono di quanto diffusi siano modalità illogiche di rapportarsi alle cose del mondo.
Ad esempio: il segnale che invita a “evitare questo comune” dovrebbe essere messo – semmai – all’ingresso dello stesso comune e non su un citofono qualsiasi. E poi: che senso avrebbe segnalare ad altri dove e quando fare un buon colpo ? E perché usare un codice ormai noto alle vittime potenziali ?
E per finire: questo tipo di segno è comunque una forma, seppur grezza, di comunicazione scritta, laddove la cultura delle popolazioni nomadi è, per sua intima natura, orale.
L’uomo è un animale sociale che, per vivere , ha bisogno di codici e linguaggi condivisi, siano essi “decaloghi” più o meno taroccati, segnali, segni e cartellonistica varia. Tutto filerebbe liscio se ci venissimo a trovare di fronte a richiami certi e inequivocabili. Il più delle volte non è però così. Sembra che ci sia – da sempre – qualcuno che, chissà con quale recondito obiettivo, riesce a confondere le acque dei mari dove le nostre barchette esistenziali vanno alla deriva.
Per nostra fortuna i naufragi sono quasi sempre più dolci dello starsene a riva, aspettando albe improbabili.

Lo Spirito Folletto

 

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