Il gioco pericoloso dello scendere in strada
Il problema più importante è sempre quello: non vivere la nostra vita solo in questo spazio virtuale; e non perdersi troppo in certe relazioni specifiche e di coppia, perché lo strumento è limitato, come tutti gli strumenti, e più di tanto non permette e può diventare sterile. Bisogna poi anche uscire per strada dove troveremo la ‘realtà’ e dove il gioco potrebbe essere anche un poco più pericoloso e non sarà solo un gioco di reciprocità o a ‘somma variabile’, ma anche a ‘somma costante’.
In Facebook la conflittualità è certamente elusa e si tende più facilmente a creare un’’isola felice’.
In Facebook si può sperimentare anche il gioco della libera espressione che porta ad una messa in discussione dell’identità, cioè un gioco per mettersi in gioco. Ma anche un gioco del fraintendimento, cioè ci è data la possibilità di fraintendere, in una finzione leggera che lasci intravedere la possibilità di creare qualcosa di meglio della solita piatta o troppo complessa e difficile realtà che ci sta intorno.
Nel gioco della relazione – quindi – si può anche “stuzzicare” la relazione stessa, in modo impertinente, con il fraintendimento e il paradosso, con la relativizzata aggressività dell’umorismo. E’ l’obliquità ironica (“dire per non dire”, Mizzau,1989) che permette di parlare della relazione, mettendoci al riparo dalle eventuali conseguenze di un conflitto prematuro, troppo aperto e distruttivo.
Vi è del resto una via che – almeno per ora – potrebbe favorire un uso opportuno di Facebook:
• Potrebbe essere possibile intervenire sulla relazione e sui processi affinché le banali modalità difensive non abbiano sempre il sopravvento.
• E’ un debole tentativo di influenzamento per farsi influenzare.
• E’ un gioco che non possiamo sapere in partenza come si svilupperà.
• E’ attribuire importanza alla relazione piuttosto che a me stesso o all’altro.
• E’ percepire l’intensità della contemplazione estetica della relazione.
• E’ sensazione di perdere, sapendo che vincere o perdere non è ancora così importante.
• E’ gioco per realizzare una creazione, comunque.
• E’ un reciproco stimolare l’immaginario. E’ un sognare per far sognare.
• E’ farsi sedurre dalla relazione senza idealizzazioni eccessive e senza farsi sedurre dall’Altro.
• E’ obbligarsi a essere sì anche quando si vorrebbe resistere per essere no.
• E’ un pensare ancora inutile e gratuito, se si pensa alle esigenze produttive delle relazioni così come ci vengono presentate dall’esterno e dall’attuale cultura dominante.
• E’ attività non ancora finalizzata, se non alla protezione e al miglioramento di una relazione che vuole piacersi, prima di orientarsi verso l’utilità.
Facebook, narcisismo e società liquida.
Nella “cultura del narcisismo”, per usare la definizione di Christopher Lash, anche le espressioni più progressiste dell’identità sono contaminate da una straordinaria enfatizzazione dell’ego, dalla enfasi dei bisogni di autoaffermazione e da una sorta di emergenza di persone “senza qualità”, come dice Musil.
E cosa vuol dire “esserci” nella società postmoderna, nella società liquida di Baumann? Esserci vuol dire rinunciare ad una identità stabile, per entrare nell’unica dimensione possibile: quella della liquidità, ovverosia dell’identità mutevole, difforme, dissociata e continuamente ambigua di chi è e al tempo stesso non è.
In fondo, la tecnologia informatica e della digitazione consente all’uomo e alla donna odierni di essere senza vincoli, di mediare tecnologicamente la relazione senza essere in relazione, di connettersi e di costruire legami liquidi, mutevoli, cangianti e in ogni istante fragili, privi di sostanza e di verifica, che possono essere interrotti in ogni momento, modificati, cambiati, cancellati.
Si è passati dall’ uomo-senza-qualità di Musil all’ uomo-senza-legami di Baumann, in una sorta di continuità-sovrapposizione che viene a definire il nuovo orizzonte del processo identitario. Ma l’esserci è minato alla sua origine. La crisi dell’identità maschile e femminile, per esempio, ne è l’espressione più lampante. L’identità, cioè l’idea che ognuno di noi ha di se stesso, è dunque in profonda crisi, e il nuovo paradigma è l’ambiguità.
La crisi dell’esserci ha una prima conseguenza. All’uomo di oggi sembra precluso il raggiungimento di una identità stabile, che si articola e si declina nelle varie dimensioni, come in quella psico-affettiva e sessuale. La conseguenza prima è che l’esserci-con (ad esempio, la coppia) assume nuove e multiformi manifestazioni. L’esserci-con non è più il reciproco relazionarsi fra identità complementari (maschio-femmina), sul quale costruire dimensioni progettuali nelle quali si dispiegano legittime attese esistenziali, ma diviene l’occasionale incontro tra bisogni e desideri individuali che vanno reciprocamente a soddisfarsi, per un tempo minimo, per quel che possono, al di là di impegni reciproci e di progetti che superino più o meno l’istante dell’incontro. L’esserci-con è fatalmente legato alla soddisfazione di bisogni individuali che solo casualmente, e per aspetti parziali, giungono a corrispondersi. In altri termini: per Baumann, l’incontro tra due persone è fondamentalmente basato sulla soddisfazione narcisistica, individuale, solipsistica di un bisogno che incontra un altro bisogno, altrettanto narcisistico e solipsistico.
Questo incontro si dispiega per un tempo limitato alla soddisfazione dei bisogni e l’emergere di nuovi e contrastanti bisogni (nella dinamica mutevole del desiderio) determina inevitabilmente la rottura del legame e la ricerca di nuovi incontri atti alle nuove esigenze.
Legami affettivi deboli e fragili
La fragilità dell’essere-con dei nostri tempi si evidenzia attraverso la estrema debolezza dei legami affettivi, che manifestano una ampia instabilità ed una straordinaria conflittualità che tende a distruggerli facilmente, perché l’edonismo di base fa sì che non sembra valga la pena sostenere una ‘lotta’ strenua e continua. Non c’è l’esigenza di far durare un matrimonio, perché non c’è la sensazione di costruire qualcosa di solido che duri per l’eternità. Si ama per sempre, ma limitatamente al tempo sempre più breve di durata della relazione amorosa. Così, viene a mancare quella sicurezza che l’istituzione difendeva un tempo e l’insicurezza ha la prevalenza, con tutte le ambivalenze del caso.
Un tempo si costruivano solide identità per un mondo solidamente strutturato, reprimendo la libertà, ora sembra che alla crisi dell’istituzione e del progetto di vita, corrisponda la crisi dell’identità. Ora il Desiderio sembra più libero di declinarsi in più oggetti, cambiando continuamente orientamento e destinazione. Anche un tempo la relazione d’amore dava origine ad una situazione di incertezza (fase del fidanzamento, della prova , dell’addestramento). Ci si sposava per aumentare il livello di certezza, per istituzionalizzare e sancire un diritto-dovere alla continuità, alla solidità, ma a ben guardare si ponevano anche le basi per una fine del rapporto amoroso vero e proprio, addentrandosi in una sorta di progetto organizzativo di vita in comune, dove l’atto istituente dello ‘stato nascente’ veniva poi sempre più faticosamente recuperato per brevi istanti. In cambio, si aveva l’impressione di costruire qualcosa verso un’impossibile eternità.
Facciamo finta di essere sempre gli stessi, di possedere una coerenza interna ed esterna che probabilmente è così solo nel racconto. Quindi è molto facile criticare i nostri tempi attuali, perché non si costruisce più con ‘solidi mattoni’, ma con materiali i più vari, spesso fragili e biodegradabili, ma in fondo avremmo l’opportunità di una maggiore libertà che, semmai non sappiamo ancora maneggiare.
Siamo più liberi, ma non siamo molto pronti a gestire l’ambiguità e la conflittualità che la libertà conquistata porta con sé. Se l’identità è liquida, anche il legame interpersonale è liquido, cangiante, mutevole, individualista e fragile, ma così è altresì al contrario. L’uomo postmoderno sembra rinunciare alla possibilità di un futuro e si concentra sull’opzione del presente occasionale, del momento, dell’istante con tutti i problemi che ciò comporta.
D’altra parte, non siamo così pronti perché non sappiamo ancora bene cosa farcene di tale libertà conquistata a spese di una non più esistente solida sicurezza del passato. Si arriva quindi a pensare che non siamo ancora in grado di sviluppare un progetto di benessere – è più facile ricercare il piacere immediato individualistico e fragile – perché, se un tempo la felicità era la stabilità dell’identità del progetto del sogno, ora di fronte all’effimero, dobbiamo inventare ciò che ancora non c’è. Il rischio è la solitudine e, al contrario, la esagerata esigenza percepita di relazione.
Il problema riguarda forse il fatto di soffermarsi un po’ sulla nostra capacità di muoverci nelle nostre relazioni, saperle maggiormente curarle, aumentandone il livello estetico e qualitativo, dimenticare un po’ la durata eterna delle stesse, ma anche l’illusione che la loro quantità possa sopperire l’inconsistenza.
In Facebook, più ho amici, più ho possibilità di rispondere alle mutevoli esigenze di soddisfazione che mi si presenteranno. Ma allora un Social Net diventa una sorta di Super Market della Relazione, dove io vado a ‘bighellonare’, decidendo di volta in volta, cosa acquistare, cosa scegliere, cosa consumare ‘per cena’ o per una ‘merenda’. Ma che fondamentalmente, mi lascia nella mia solitudine, mentre il problema è un altro.
Facebook può essere una specie di mercato della relazione a cui mi avvicino con l’intento di bighellonare e di giocare un po’, come se la mia adolescenza possa essere conservata parallelamente ad una vita più ‘seria’, ma ci allena anche ad un cambiamento inevitabile che è quella di una vita costituita da relazioni che dovrebbero essere curate come dovessero esistere per sempre, ma che sappiamo che potranno finire da un momento all’altro.
E’, in un certo senso, la visione della vita stessa come alcuni orientali la concepiscono: vivere come se si fosse eterni, ma vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Per fare questo, però, non dobbiamo aver paura di amare, ovvero di mettere in gioco in maniera più approfondita la nostra identità, spenderci ed investire nella nostra relazione, ma saper poi ricominciare dopo la sua fine. Significa anche cominciare ad abituarci a forti livelli di insicurezza senza ricercare la sicurezza ad ogni costo e costruirci un certo livello di sicurezza che si basa più sulla nostra autostima di saper nuotare in ogni mare e ad ogni profondità e capire che anche le istituzioni che avevamo prima in una solidità tanto forte, erano solo apparenti o molto tanto apparenti, ma sostanzialmente false.
Nell’epoca di Facebook, l’identità si virtualizza, come anche le emozioni, l’amore e l’amicizia. La virtualizzazione è la forma massima di ambiguità, perché consente il superamento di vincoli e di confronti, aprendo a dimensioni narcisistiche che potrebbero divenire imperiose e prepotenti. Eppure qualcosa non funziona. Lo avvertiamo dall’incremento del disagio psichico, dal sempre più pressante senso di smarrimento delle persone, dalla ricerca affannosa di vie brevi per la felicità, dall’aumento del consumo di alcol e stupefacenti negli stessi opulenti ragazzi della società di Facebook, dall’affermarsi di un malessere diffuso. Qualcosa dunque non funziona: la liquidità dell’identità, non aumenta il senso di felicità dell’uomo contemporaneo, ma è vero che anche prima questa gran sicurezza e benessere era forse non tanto vera. La presunta maggiore libertà di espressione non sembra essere neppure sfruttata per un maggiore benessere della persona, anzi: sembra che si avveri proprio l’opposto.
Si diffondono quindi nostalgiche richieste di tornare là dove ormai non è più possibile tornare.
La felicità, dunque, non è correlata con l’incremento delle possibili scelte dell’uomo, che è una visione ovviamente molto legata al capitalismo. Tutti gli studi, correlano la felicità con il possedere e non a un criterio di scelta. Avere un criterio per scegliere rimanda ad altro: avere un progetto, delle idee, una identità. Il tema della liquidità è sostanzialmente il tema della rinuncia ad avere criteri, cioè ad avere dimensioni di senso. Ma, paradossalmente, ci accorgiamo che stiamo perseguendo l’infelicità.
FINE