CAVILLI DI RAZZA In caso di emergenza, mantenere la calma

L’Azienda ha fatto finalmente scuola, tanto che il buon vecchio “Ospedale” si è trasformato anch’esso in “Azienda Sanitaria”. Il fascino dell’organizzazione è irresistibile, come irrefrenabile è la voglia di regolamentare fin nei minimi dettagli ogni aspetto della vita umana, lavorativa o meno che sia.
E così non potevamo sfuggire alla tentazione di governare il comportamento – individuale e di gruppo – anche in tutti i quei casi in cui si dovessero manifestare situazioni a rischio. Molto giusto e lodevole.
Gli esseri umani vivono in una sorta di enormi provette dove Storia e Destino fanno da sempre i loro strani esperimenti ed è sacrosanto diritto della comunità degli esseri viventi cercare di contenere i danni derivanti dalle forzature e dalle tensioni eccessive cui donne e uomini del nostro tempo sono a tratti sottoposti. E’ come se Storia e Destino si accordassero per verificare fino a che punto può essere tirata la corda. Gli indici di stress danno appunto la misura dell’aver raggiunto il limite. Quasi, un punto di non ritorno. Che razza di brutti esperimenti, verrebbe da dire.
Ma ecco che il nostro buon vecchio Ospedale, nato per accogliere, curare e (non sempre) guarire, ci offre una serie di utili comandamenti: dieci, come vuole la tradizione antica. Un vero e proprio decalogo da seguire nel caso dovessimo venirci a trovare in situazioni di emergenza.
La tabella esposta (realmente esposta in un grande Ospedale del Nord Italia) ha per titolo: Istruzioni da seguire in caso di emergenza. Viene da sé che si tratta della cartellonistica il cui obiettivo è quello di favorire comportamenti congrui con la necessità di abbandonare l’edificio nel caso in cui venisse dato il segnale di evacuazione. Contesto ben definito, quindi. Ma quante volte abbiamo sperimentato e sperimentiamo la voglia di evacuare noi stessi ? Di andarcene, di allontanarci da condizioni di vita che cominciamo a vivere come disturbo e non più come opportunità ? E magari ricominciare da zero.
Circoscriviamo il ragionamento alla dimensione organizzativa e aziendale (e, perché no, anche associativa), tralasciando per ora il più ampio contesto dell’ esistenza a tutto campo.
E commentiamo brevemente il tutto.
Nel caso in cui scattasse il segnale d’allarme, occorre prima di tutto

“Mantenere la calma.
Chi non è in grado di muoversi, attenda i soccorsi in reparto.
L’Ospedale ha predisposto un piano di emergenza.”

Si tratta di un’indicazione generale: calma e gesso, qualsiasi cosa accada. Prima di colpire la palla da biliardo con la stecca (e soprattutto quando da questa “mossa” dipende l’esito della partita), occorre passare il gesso sulla punta della medesima stecca. Con calma, ben s’intende. Così nella vita lavorativa e aziendale: prima di dare le dimissioni, per esempio, o prima di avanzare un forte rilievo critico in forma scritta o porre al proprio capo la questione della mancata valorizzazione di tutto ciò che nell’arco dell’anno abbiamo l’impressione di aver fatto, ecco: prima, pensiamoci bene. E con la sufficiente calma.
E se per caso non siamo in grado di muoverci ? Se non sappiamo bene che pesce prendere ? Allora si attendano i soccorsi. Il Mondo, la Natura, il Cosmo e l’Universo hanno comunque e sempre un piano di emergenza, spesse volte addirittura sorprendente. Bisogna aver fiducia.

Vediamo ora e in successione sintetica i dieci punti del nostro decalogo:

1. Evacuare i locali in modo ordinato, seguendo le istruzioni del personale.
Va subito detto che questo primo punto è stato senz’altro suggerito da quella Funzione aziendale che va sotto il nome di “Personale”. E’ il Personale , infatti, che opera per il bene delle risorse umane anche quando dovessimo avere un’impressione diversa. E quando l’Azienda deve essere lasciata (licenziamenti, cassa integrazione, taglio di rami secchi), deve essere abbandonata in modo ordinato, e cioè:

2. Non correre. Non strillare. Non spingere.
Inutile affrettarsi. Inutile strepitare e urlare all’ingiustizia. Non sgomitare per tentare di accaparrarsi i pochi posti rimasti comunque disponibili: i giochi sono ormai fatti ed è inutile prendersela.

3. Non usare ascensori, montacarichi, montalettighe.
Se non ce l’abbiamo fatta da soli, lasciamo perdere. Per salire la scala gerarchica è inutile sperare di riuscire a farlo senza le proprie gambe. Così come si sale, a volte si è poi costretti a scendere. O addirittura a precipitare. In ogni caso è pia illusione lo sperare di avvalersi di orpelli sostitutivi delle nostre (in)capacità. Ascensori e montacarichi sono addirittura pericolosi, con la loro peculiare artificiosità. Se poi non riusciamo a stare neppure in piedi, lasciamo perdere e stiamocene in panchina. Il montalettighe ci porterebbe al piano della demotivante frustrazione.

4. Non portare con sé oggetti ingombranti o pericolosi.
Qualche piccolo ricordo, questo sì: la conchiglia raccolta durante le vacanze passate a Cesenatico, una foto sbiadita, la penna dell’albergo dove si è fatta l’ultima Convention aziendale. Ma nulla di più. E men che meno documentazione aziendale.

 

5. In presenza di fumo o fiamme, coprirsi bocca e naso con fazzoletto o panno umido. Camminare carponi e respirare con il volto rivolto verso il suolo.
E’ cambiato il vertice aziendale e tutta la struttura ha subito gravi contraccolpi. Le cordate, soprattutto quelle più vicine alla vetta e al successo, si sono date a fughe precipitose. Fuoco e fiamme, appunto. Che fare ? Due le indicazioni operative, la prima di Indro Montanelli (il turarsi il naso di ormai storica memoria) e la seconda di Francesco Cossiga (Volare basso per sfuggire ai radar, indicazione data a suo tempo per giustificare la mancanza di visibilità politica e concettuale).
In tempi di maretta, camminare nei corridoi aziendali a viso basso, tanto per dare l’impressione di essere assorti in pensieri aziendalmente e politicamente corretti (Io non m’impiccio d’altro che del mio lavoro. Faccio ciò per cui sono pagato).

6. In presenza di forte calore, proteggersi il capo con indumenti possibilmente bagnati evitando assolutamente i tessuti sintetici.
Occorre solo accordarsi su che cosa si possa intendere con indumenti possibilmente bagnati e con tessuti sintetici. Nella Traviata di Verdi, Alfredo parlerebbe di bollenti spiriti e di giovanile ardore. Nelle mozartiane Nozze di Figaro, Donna Flemma si presenta regalando una pelle d’asino, pelle con la quale si superarono in seguito svariati contrattempi. L’indumento bagnato è quindi una sorta di seconda pelle da indossarsi provvisoriamente, almeno finché non passa la tempesta.
I bollenti spiriti rinviano all’infiammarsi dell’anima, al prendere affettivamente fuoco. Con il serio rischio di andare poi a finire in cenere. Guardarsene, quindi.

7. Giunti all’esterno, portarsi in luogo sicuro (punto di raccolta).
Lasciarsi trasportare dal vento opportuno, cogliere e intravedere le opportunità: opportunus era infatti il vento che spingeva i naviganti verso il porto sicuro. Inopportunus è il vento contrario, che allontana dalle sicurezze. Tutto sta allora nel riconoscere, all’esterno della propria Azienda-organizzazione, proprio quel luogo dove più marcatamente potrà essere sperimentata la sensazione di sicurezza. Lì è bene stare finché non arrivino altri, così da iniziare a fare gruppo. La solitudine rischia di essere inopportuna, almeno in questi casi.

8. Non ostruire gli accessi allo stabile rimanendo vicino ad essi dopo essere usciti.
Brutta cosa, i picchetti degli scioperanti. Astenersene con vigorosa convinzione.

 

9. Nei punti di raccolta, attendere dal personale appello e istruzioni.
Il penultimo punto del decalogo ricorda ancora una volta la rilevanza della funzione del Personale. Sta al Personale dare istruzioni. E sta al personale verificare chi sia eventualmente assente. L’assenteista, come è noto, non può per definizione rientrare nei piani di sviluppo e di incentivazione. Nei giorni e negli orari stabiliti, è quindi bene farsi notare, così da poter evidenziare come le istruzioni operative date a suo tempo proprio dal Personale siano state scrupolosamente seguite.

10. Non tornare indietro per nessun motivo.
Attendere il segnale di cessata emergenza.
Il dado è tratto. Inutile recriminare. E se fossi rimasto ? E se avessi accettato ? E se non avessi accettato ? Guardare avanti, con gli occhi fermi e fissi nel futuro, parafrasando Pierangelo Bertoli.
Non fidarsi poi delle proprie impressioni: la burrasca potrebbe non essere passata. Potremmo trovarci nell’occhio del ciclone, cioè in una zona di totale e enigmatica tranquillità. Ma tutt’intorno, a pochi passi da noi, potrebbe scatenarsi l’inferno.
Il segnale di cessata emergenza arriva spesso da un mondo che non è il nostro.
Per vivere, ci è richiesta una buona dose di fede e di speranza. In che cosa e in chi ? Questo è il problema.

Lo Spirito Folletto

 

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