BURKINA FASO. Dal Diario dell’ascolto e dell’azione solidale. 3 (L’intervallo è finito. Seduti!)

Dopo la Festa della Parrocchia, simpatica perché, svolgendosi di giorno, ha coinvolto anche i giovani, il ciclo festaiolo si è concluso col Veglione di Capodanno. Niente di speciale (pollo, spiedini e botti numerosi) a parte la partecipazione dei pargoletti: legati alla schiena delle madri, numerosi piccoli, in età compresa tra i pochi mesi e un anno e mezzo, per ore pur dormendo sono stati agitati “ma non mescolati” , ruotati, giravoltati dalle madri impegnate in balli che non erano “il ballo del mattone”. Così, anche a chi non “ha il ritmo nel sangue” lo fanno venire.
Ma ora, basta feste, “l’intervallo è finito” , torniamo alla realtà quotidiana. Al nostro arrivo un mese fa, la prima impressione è stata che nel panorama nulla fosse cambiato : aridità, paglia secca e spini.; ma, osservando meglio, si nota che i tetti delle casupole sono carichi di paglia, simil-paglia , canne, legna: sono le scorte per tirare il nuovo arrivo delle piogge. Durante i tre mesi di acquazzoni ( quest’anno ottime e abbondanti a Yalgò, dai primi di giugno ai primi di settembre ) tutti corrono a seminare qualcosa, sopratutto miglio. Lo seminano ovunque nei campi attorno al villaggio, senza confini evidenti: il miglio cresce a vista d’occhio in pochi giorni e tutti trascorrono la giornata e anche la notte ( saltando anche qualche Messa, come mi dice- bonariamente – Clement ) a raccoglierlo e accumularlo sui tetti, lontano dalla bocca delle capre che, come ho già detto, qui sanno essere bipedi e scalatrici per raggiungere le foglie più alte ( non mi stupirei se in qualche secolo si sviluppasse una qualità di capre bipedi ). Il miglio viene macinato coll’antico mortaio di legno il cui tum-tum-tum scandisce gran parte delle 24 ore dei contadini di qui. La sua bianca farina servirà per preparare il “To’”, cioè la polenta nazionale, piatto unico per i 12 mesi dell’anno. Il To’ viene confezionato in palle grandi come un’arancia, e venduto anche al mercato. Il Tò, come la polenta e il cous cous, andrebbe condito con qualcosa: qualche volta ci scappa un sugo fatto con la zuppa di pollo; ma più spesso – quasi sempre – l’intingolo è ottenuto con qualche cipolla , pasta di arachidi (altro prodotto seminato e raccolto a spron battuto nei mesi estivi ed essicato e macinato in inverno), foglie di Baobab e foglie e semi di altri arbusti. Ne ho mangiato uno con un intingolo di pesce di acqua dolce: niente male, ma era già un Tò da privilegiati. La domenica forse ci sta anche un pollo, magro e veramente ruspante; o qualche uovo. Forse.
Vicino al Barrage, diga che raccoglie solo le piogge ( non ci sono nemmeno torrenti nel Sahel) ci sono i campi coltivati “veri “: abbiamo già fatto alcuni giri con le bici o con lo scooter per risollevarci un po’ il morale, per riposare l’occhio contemplando verdi distese di cipolle,fagiolini, melanzane, pomodori e pseudo peperoni, angurie, cefù ( il cavolo cappuccio con cui vizio le “mie” pecore) patate dolci e altre verdure di cui non abbiamo capito il nome perché nei campi l’analfabetismo è quasi totale e il francese è parlato solo da qualche raro bambino scolarizzato. I campi hanno un padrone, e qui si riproduce la divisione tra contadini, mezzadri e braccianti; ma non entro nell’analisi, mi limito a credere che bracciantare su un campo irrigabile sia meglio che bracciantare tra pietrisco e sabbia rossa : come dice un proverbio dell’Epiro,” Con la siccità va bene anche la grandine”.
Ribadisco che tento di descrivere “il pranzo della povera gente”: contadini e pastori, cioè l’80 % degli abitanti di Yalgò e del Sahel; chi ha uno stipendio – gendarmi, insegnanti, infermieri ( qui non ci sono medici! ) , statali, …- se la cava meglio, idem per i proprietari di un negozietto, o per gli artigiani; ma si tratta sempre di un quinto della popolazione, di un villaggio ove non arriva l’elettricità, e la legna secca è il combustibile primario per cucinare. Legna secca che non farà fatica ad accendersi, ma brucia troppo in fretta. Oltre che curiosare e seguire i lavori per l’Alloggio ecc ecc, sto tenendo alcune lezioni di Astronomia al Collegio Valentina Giumelli ( Valentina mori nel rogo del disastro aereo di Linate e i genitori l’hanno voluta ricordare con una scuola qui in Burkina ) . La prima serata di osservazione al telescopio ( che ho portato in febbraio, e che neppure stavolta tornerà a Milano) ha rischiato di essere rovinata dalle nubi, le prime dopo 20 giorni di sereno: sarà stato un caso, o la Legge di Murphy…? E se invece avessimo sbagliato tutto e contro la siccità servissero..telescopi? . Come dice il saggio Epirota “Non ti allargare troppo!”. E’ mezzanotte, è bene che smetta. Alla prosssima.
Renato con Cris

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