PAUSA CAFFE’ (La parola, attrezzo formativo)

E se il nostro non fosse il “migliore dei mondi possibili” – come si usa ottimisticamente dire – ma piuttosto il contrario ? Se cioè fosse il “peggiore dei mondi possibili?
Ecco allora che metafore, racconti, fiabe e in definitiva il perdersi nella foresta, unica condizione per potersi ritrovare, appaiono come strumenti essenziali alla sopravvivenza individuale e di gruppo.
Una sorta di intelligente via di fuga temporanea: lo slivellamento (momentaneo, appunto, perché se diventasse definitivo si tradurrebbe in relazione – anche con se stessi – inefficace e sofferente) permette il ritorno al proprio operare e vivere quotidiano con qualche attrezzo e qualche chiave di lettura in più e maggiormente propositiva. Si dà vita a un sistema dinamico che, con una circolarità che non sarà però mai automatica, consentirà esistenze un po’ meno deludenti.
Aziende, Associazioni e luoghi organizzativi non sono spazi avulsi e separati dai contesti storico-culturali che, in fondo, li hanno generati e prodotti. Il perdersi allora, e per un po’ di tempo, nella foresta organizzativa, associativa e aziendale, risulta sempre di qualche utilità operativa.
Metafore, narrazioni, racconti e fiabe sono la bussola che ci consentirà di ritrovare la via del ritorno.
La parola ha uno straordinario potere evocativo, anche quando viene usata per comunicazioni terra terra. Quando in aula diciamo, tanto per fare un esempio banalissimo, “pausa caffé”, le due parole (“pausa” e “caffé”) evocano in noi stessi e in ciascun partecipante, sensazioni specifiche, originali e irripetibili. Non possiamo (per fortuna) farci niente: la parola, nonostante i suoi numerosi nemici, sfugge a qualsiasi tentativo di renderla prigioniera.
Metafore, racconti e narrazioni sono parole cucite con il filo della fantasia e di un pensiero libero. Per questo la parola è così temuta, è temuta in quanto sorgente di vita vera e propria. Del resto, anche quella grande metafora che è la proposta che nella nostra area culturale avanza la religione cristiana, troviamo come concetto fondamentale proprio il Verbo. Nulla di più evidente, quindi. Come è universalmente risaputo che il Cristo (il Verbo) è stato prima dileggiato e poi crocefisso. Inaccettabile, per il potere, convivere con una parola di per sé destrutturante. E al riguardo è necessario considerare che per “potere” si vuole intendere e si intende qualsiasi tentativo di esercitare influenze prevaricanti, su se stessi e sugli altri. “Potere” anche domestico, “d’ufficio” e minuto, quindi, e non solo in una squisita prospettiva socio-politica.
Metafore, racconti e fiabe scardinano questo potere, a tutti i livelli. E proprio in questo dovrebbe consistere l’azione formativa: lasciare che le parole di ciascun partecipante possano svestire l’abito della consuetudine per ritornare ad essere ciò che sono, correndo il naturale rischio di essere crocefisse.
Si tratta, poi, di una questione di sguardi: sono solo i poeti e gli artisti in genere che riescono a cogliere il mormorare basso, ma ancora vivo, di una parola soffocata dalla macchina organizzativa, tritatrice e illusoriamente potente. Per questo, chi si occupa di formazione (ma per “formare” chi e che cosa…?) dovrebbe imparare a lasciar perdere di tanto in tanto l’ossessione di “sparare” una infinita quantità di lucidi e di luminose diapositive in Power Point e recuperare l’antica abitudine infantile di sorprendersi della vita e di tutto ciò che il vivere comporta. Ognuno scelga gli Autori che preferisce: Franz Kafka, per esempio, che è riuscito a canonizzare l’occasionale della banale vita d’ufficio, ma anche Alessandro Manzoni: quando il perfido Don Rodrigo giunge al termine della sua vita, è sconfitto non tanto dalla peste, ma (ecco una specie di singolare metafora) dall’aver usato la parola in modo innaturale e sempre “contro”, sempre a proprio, esclusivo beneficio. La parola, alla fine, si ribella, e da amica apparente si trasforma in batterio mortale. Morire è necessario al vivere. E’ il nostro percorso. Ma vivere e morire lo si può fare con maggiore o minore serenità. Se la prassi quotidiana (e quindi anche formativa) ci ha visto impegnati a utilizzare e diffondere parole vive e infantili, sarà più facile (con)vivere – e morire – con uno sguardo sereno e illuminante.
Facciamo allora man bassa delle parole che nel tempo passato e presente hanno visto impegnati poeti e scrittori. Ungaretti, per esempio, con il suo “Nessuna violenza supera quella che ha aspetti silenziosi e freddi”, o Dante, Montale, Quasimodo, Caproni. E poi i grandi romanzieri dell’Ottocento russo. E Shakespeare. E i musicisti (il settecentesco modo di intendere le cose umane di Mozart versus il romanticismo disperato di Beethoven), e i pittori (Magritte, Topor…). Ognuno ascolti se stesso e le vibrazioni affettive innescate dal (ri)vivere il Mito antico. La vita delle divinità dell’antico Olimpo, per esempio. E la storia di come Saturno (Kronos/Chronos) sia stato spodestato da Juppiter (Zeus) e – dall’aver potere su mortali e immortali – abbia visto il proprio potere ampiamente ridimensionato, divenendo così dio del Tempo. Quest’ultimo mito rende conto del fatto che, nella vita di tutti i giorni e nella vita d’ufficio, associativa e d’azienda, il problema principale sia proprio la gestione di quel tempo che si è un po’ incarognito nei nostri riguardi: non ne abbiamo mai a sufficienza. Curioso: la generazione dei nostri nonni, invece, aveva sempre abbastanza tempo…
Parliamone, allora, fuori e dentro l’aula. Facciamo del momento formativo il luogo dove le parole possano trascinare le emozioni di ciascun partecipante. Solo così si impara. Il lungo treno del nostro viaggio (formativo e non) avrebbe allora nella loco(e)motiva il fulcro del proprio movimento finalizzato. A quale stazione scendere, sarà poi lasciato al libero arbitrio di ciascuno.
Un ultima considerazione: la parola è sempre viva, ironica e leggera. Questo non vuol dire che non possa fare male. Ma si tratterà sempre di un male, se magari non passeggero, il più delle volte comunque necessario. Necessario a ciascuno di noi, passeggeri come siamo di questo strano mondo.

Lo Spirito Folletto

 

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