IL PRIBLEMA NON ESISTE: DOLORES UMBRIDGE E LA STRATEGIA DI NEGAZIONE
Il quinto capitolo della saga si apre con un’atmosfera cupa: Voldemort è tornato ed è apparso chiaramente di fronte ad Harry Potter. Sarà proprio lui a rivelare al mondo dei maghi che il Signore Oscuro è vivo. Un’impresa semplice che si rivela però molto complessa da gestire; il Ministero della Magia, ovvero l’istituzione a capo del mondo dei maghi, vorrebbe in realtà sotterrare la notizia per non creare il panico e non dover affrontare il problema. Proprio per questo, il Ministero decide di inserire all’interno del corpo docente di Hogwarts la professoressa Dolores Umbridge.
Citando le parole di Chiara Alpi, “Dolores Umbridge è un cattivo molto diverso ma non per questo meno pericoloso: è quel male, mascherato, che si fa più fatica a riconoscere ed estirpare. Mentre Voldemort è quel male guidato dall’odio e dalla vendetta per un torto subito, la Umbridge è l’incarnazione di quel male derivato dalla paura per tutto ciò che non si conosce, che è diverso, che non è “tradizionale”; è quel male contro cui è difficile combattere a parole, quel male che si fa cieco e sordo davanti a chi prova a opporsi, davanti a motivazioni e spiegazioni plausibili di ciò che è diverso.”
La professoressa Umbridge assume il ruolo di insegnante di Difesa contro le arti oscure, una delle materie più importanti all’interno della scuola, e si rivela totalmente incompetente poiché si limita ad insegnare agli studenti esclusivamente nozioni teoriche, quando invece sarebbe molto più utile l’apprendimento della difesa contro le arti oscure attraverso magie e incantesimi pratici. In realtà, si scoprirà col passare dei mesi che la professoressa Umbridge applica volutamente tale strategia di insegnamento per far sì che il Ministero, tramite la sua figura, eserciti un controllo diretto e una forte coercizione all’interno di Hogwarts.
Per quale motivo, nonostante sia così evidente la comparsa di Voldemort e la minaccia che con lui si prospetta, il Ministero della Magia fa di tutto per negare la cosa?
Per dare una risposta a tale quesito, ancora una volta ci viene in aiuto la psicologia. L’evitamento è infatti una strategia di coping. Le strategie di coping sono state ampiamente analizzate da varie correnti di pensiero della psicologia ma la definizione più nota e diffusa si deve a Lazarus e Folkman (1984) che per primi si occuparono della concettualizzazione di tale costrutto definendolo come un insieme di azioni e pensieri flessibili e realistici volti a risolvere problemi e a ridurre lo stress, con un focus sulla percezione e sui pensieri della persona circa la propria relazione con l’ambiente. Nello specifico, Lazarus e Folkman (1984) affermano che le azioni e i pensieri connessi alle strategie di coping sono sempre diretti verso specifiche situazioni e non possono essere definiti a livello generale poiché corrispondono ad uno sforzo cognitivo e comportamentale in costante cambiamento volto a gestire specifiche esigenze esterne e/o interne che eccedono le risorse disponibili della persona; a partire da tale affermazione si delinea perciò la necessità di mettere in atto ricerche più approfondite e mirate.
A partire da tale concetto è stato elaborato uno strumento, il Cope Inventory, ovvero un questionario self-report composto da 60 item e volto all’individuazione delle strategie di coping messe in atto con maggior frequenza da coloro che lo compilano. Il Cope Inventory raggruppa in totale 5 strategie di coping: sostegno sociale, attitudine positiva, orientamento al problema, strategie di evitamento e orientamento trascendente; di queste, le prime tre sono funzionali mentre le ultime due sono disfunzionali. Focalizziamoci sulle strategie di evitamento: esse sono per l’appunto una scala molto eterogenea che comprende l’utilizzo di negazione e forme di distacco comportamentale e mentale, tutte strategie che sembrano rappresentare bene l’atteggiamento messo in atto dal Ministero della Magia e da Dolores Umbridge; negare un problema, evitare di credere che un fatto doloroso sia accaduto è molto più facile che accettare la realtà dei fatti e dover affrontare ciò che ne consegue. Ovviamente, questa strategia è disfunzionale poiché prima o poi il problema salterà fuori e sarà necessario porvi rimedio, ma in molti casi è molto più semplice far finta di niente e comportarsi come bambini quando hanno paura: se ci copriamo gli occhi davanti a ciò che ci spaventa, quella cosa non esiste più. Se neghiamo che Voldemort sia tornato e impediamo ai maghi di parlarne, Voldemort non esiste più. Se neghiamo il Covid e i contagi o i ricoveri o i decessi da esso causati, il Covid non esiste più.
Harry Potter e l’ordine della fenice si conclude con uno scontro diretto tra Voldemort e Harry che si svolge all’interno delle sale del Ministero della Magia dove, per una felice coincidenza, giungono anche il Ministro Caramell e i suoi collaboratori: di fronte alla vista di Voldemort e alla sua innegabile presenza, il mondo magico è ormai costretto ad ammettere il problema e ad affrontarlo… la negazione si rivela finalmente una strategia inutile e nociva.
È sempre davvero necessario dover arrivare ad uno scontro così diretto con il problema per ammetterne l’esistenza e affrontarlo? Se solo il Ministero della Magia si fosse fidato di Harry…
ALICE ARATTI