A seguito della lettura di questo estratto (Vedi: “Si racconta che in un paese lontano e in tempi quasi remoti”, pagine riservate agli abitanti di Psicocose) mi sono venuti in mente diversi spunti di riflessione che ho approfondito leggendo alcuni articoli e volevo condividerli. Quello che ho compreso è quanto l’argomento risulti variegato e caratteristico del periodo e del luogo in cui lo si vive.
Il mantra per cui i giovani di oggi sono diversi dai giovani di ieri, sembra al quanto infondato, lo spiega bene Don Mazzi in un articolo del 31 agosto 2021 dal titolo provocatorio “I GIOVANI D’OGGI? TUTTI MALEDUCATI (MA LO DICEVANO GIÀ 3 MILA ANNI FA)”.
Don Mazzi citaFranco Nembrini, insegnante e saggista, e in particolare si sofferma su alcune frasi che sentiamo spesso o che diciamo spesso quando vediamo immagini o ascoltiamo notizie di giovani dediti solo all’alcol, alla droga, alle devianze e al chattare ossessivo e senza sosta.
“La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, si burla dell’autorità, non ha alcun rispetto degli anziani. I bambini di oggi sono dei tiranni, non si alzano quando un vecchio entra in una stanza, rispondono male ai genitori. In una parola sono cattivi”.
“Non c’è alcuna speranza per l’avvenire del nostro paese se la gioventù di oggi prenderà il potere domani. Questa gioventù è insopportabile, senza ritegno, terribile”.
“Il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico, i nostri ragazzi non ascoltano più i loro genitori, la fine del mondo non può essere lontana”.
“Questa gioventù è marcia nel profondo del cuore. I giovani sono maligni e pigri. Non saranno mai come la gioventù di una volta. I giovani di oggi non saranno capaci di mantenere la nostra cultura”. Queste frasi che sembrano provenire dal mondo che ci circonda tanto siamo abituati a farci i conti giornalmente provengono da più di tremila anni fa. La prima frase è attribuita a Socrate (470 a. C.). La seconda è di Esiodo (VIII-VII secolo a. C.). La terza appartiene ad un Sacerdote dell’Antico Egitto (2000 anni a.C.). La quarta è addirittura un’incisione ritrovata su un vaso di argilla nell’Antica Babilonia (3000 anni prima di Cristo). Così Platone: “Il figlio si sente simile al padre e pur di essere libero non ha né rispetto né timore dei genitori” e aggiunge: “Il maestro ha paura degli allievi e li lusinga; gli allievi -dal canto loro – hanno poco rispetto sia dei maestri che dei pedagoghi, i giovani si mettono alla pari dei più anziani e li contestano con parole e fatti”.
Sebbene col passare dei secoli i luoghi comuni siano rimasti invariati, lo stesso non si può dire dell’adolescenza. Un tempo l’ingresso nel mondo degli adulti (il concetto di adolescenza ancora non era presente) era accompagnato da riti di iniziazione che comportavano vere e proprie mutilazioni del corpo, in qualche modo indicando che “l’adolescente” doveva “sacrificare” qualcosa per entrare pienamente nel mondo degli adulti.
Il concetto di adolescenza, arricchito dall’emergere di specifici bisogni, di esigenze e di dinamiche psicologiche si era sviluppato solo dopo il XV- XVI secolo, e anche nella letteratura si cominciava a parlare di adolescenza solo in tempi recenti. Alla fine del secolo scorso Dostoevskij, nel L’adolescente, tratta la storia di un figlio illegittimo, che entra nell’adolescenza con una situazione di contrasto nei confronti della figura paterna che non l’ha riconosciuto.
Nel nostro secolo l’immagine dell’adolescente è cambiata ancora, non solo nella letteratura, ma anche nella pittura. Nei quadri di Kokoschka, l’immagine dell’adolescente è molto diversa rispetto ai giovani del passato, l’adolescente è rappresentato con uno sguardo inquieto, tormentato. Comincia quindi sempre più a prendere corpo l’immagine di un adolescente in difficoltà, turbolento, con dei problemi.
Chi ha dato sul piano clinico un contributo fondamentale alla comprensione dell’adolescenza, sono stati gli psicoanalisti. Partendo da Freud, che si rifiuta di utilizzare il termine adolescenza preferendo quello di pubertà, nei Tre saggi sulla teoria sessuale, definisce l’adolescenza come un processo biologico, tappa finale dell’infanzia, di maturazione fisica e sessuale, che diventa solo la conclusione della strutturazione della personalità, che secondo lo psicoanalista in realtà si compie nei primi anni di vita. È lo psicologo Stanley Hall che per primo utilizza il termine “turmoil”, per indicare le sofferenze profonde e il conflitto tumultuoso che ogni adolescente è costretto ad affrontare e Anna Freud afferma che l’adolescente deve fare i conti sia con un corpo che si trasforma, che ancora non conosce, che vive pulsioni e desideri sessuali che ancora non riesce a controllare e sia con le profonde trasformazioni di tipo intellettivo e cognitivo.
Dopo gli anni Sessanta, Peter Blos, uno psicoanalista americano di origine europea, mette in luce che nell’adolescenza emergono tre fasi diverse.
- Una prima adolescenza, legata al fenomeno della pubertà, ossia della trasformazione somatica e sessuale: il compito fondamentale di questa fase è quello di staccarsi dal mondo infantile, ciò viene vissuto dall’adolescente come un vero e proprio lutto, egli sperimenta la terribile perdita delle figure di riferimento che hanno orientato il suo mondo. Nello stesso tempo il cambiamento dei processi cognitivi introduce in lui il dubbio e la crisi di identità, fenomeno centrale dell’adolescenza. Le figure di riferimento diventano allora i coetanei, con cui si intessono legami profondissimi, a volte di tipo fusionale, con la ricerca spasmodica dell’amico/a del cuore e del far parte di un gruppo, con cui l’adolescente può trovare un luogo per identificarsi, ma nello stesso tempo si uniforma, usa il codice del gruppo (modo di vestirsi, di portare i capelli, di muoversi, di parlare e così via). Il senso di condivisione e di appartenenza al gruppo aiuta sicuramente l’adolescente ad affrontare questo periodo di transizione e di senso di vuoto che sta vivendo.
- Dopo questa prima fase, seguono le fasi della media e della tarda adolescenza, in cui progressivamente, il ragazzo o la ragazza si separano anche psicologicamente dai propri genitori, cominciano a costruirsi propri criteri. Si sviluppa così il processo di individuazione: si costruiscono cioè le caratteristiche stabili della propria identità personale. Ci si mette alla prova per poter affrontare gli esami della vita e si vive la fase del problema dell’ideale dell’io, che negli adolescenti è piuttosto alto, così come sono alte le aspettative rispetto agli altri. Spesso sono insofferenti ed intolleranti verso il mondo ed esigenti con sé stessi; difficoltà sul piano scolastico, sul piano della competizione, del rendimento possono essere legate di frequente a ideali dell’io troppo elevati, mentre è necessario che l’adolescente sia disposto ad accettare il rischio del fallimento e dell’insuccesso. In molti casi, ad esempio per le difficoltà scolastiche, non ci si trova davanti ad un adolescente che noi apostrofiamo “non ha voglia di fare niente”, ma in realtà è un adolescente che ha ideali talmente alti che per paura di fallire rinuncia al compito, cioè preferisce abbandonare il campo piuttosto che ridimensionare il proprio ideale dell’io e non riuscire a corrispondere alle sue aspirazioni perfezionistiche.
Se nei giovani degli anni sessanta il moto propulsore era la contestazione dello stato, dei genitori e di un modo di pensare vecchio e da rigenerare, tutto questo oggi è stato sostituito dalla tecnologia. Molti adolescenti sono proiettati verso l’utilizzo spasmodico della tecnologia, dal quale spesso nascono pericolose dipendenze come la continua ricerca di conferme da parte degli “amici sui social”, che può nascondere le forti difficoltà relazionali ed esistenziali. A mio parere l’adolescente si aggrappa ai social per evitare di mettersi in gioco nelle relazioni, che sono viste come una sfida difficile e quindi temute dal punto di vista emotivo. L’adolescente può risultare preso dalla paura di essere deluso o rifiutato, questo è qualcosa di troppo difficile da sopportare, specialmente se si è privi di riferimenti solidi. Dunque, le soluzioni che spesso incontra sono proprio quelle oggi definite patologiche: isolamento sociale (la sindrome dell’hikikomori ne è esempio perfetto), uso sfrontato di social ed internet con frequentissima diffusione di immagini di sé (il selfie è ormai pratica prevalente tra i più giovani), problemi relazionali, dipendenze affettive o da sostanze.
Un aspetto che è cambiato negli ultimi decenni è l’atteggiamento della famiglia. Mentre nelle generazioni passate c’era una distanza molto grande tra genitori e figli, per cui sussisteva un atteggiamento di rispetto ma di poca intimità e di scarsa comprensione, negli ultimi anni si è creato un clima diverso: i genitori molto spesso assumono un atteggiamento più amichevole e comprensivo.
Così come esiste una trasformazione adolescenziale, allo stesso modo si ha una trasformazione nella famiglia dell’adolescente. Anche la famiglia deve affrontare una serie di compiti nuovi, e nella maggior parte dei casi deve accettare l’autonomia e l’indipendenza dei figli, e quindi costruire un rapporto diverso con i figli. I genitori non sono più la guida assoluta; non devono interferire nella vita del figlio, ma dimostrare una disponibilità all’ascolto e all’orientamento. In un certo senso anche i genitori devono affrontare un lutto, perché quando un figlio entra nell’adolescenza, nella maggior parte dei casi si trovano di fronte alla conclusione del ciclo fertile: comincia il problema dell’invecchiamento, cercheranno di interferire e ostacolare l’autonomia del figlio, con tutti i problemi che ne conseguono.
Tenendo conto di tutti questi aspetti, non sembra semplice definire quale sia l’atteggiamento corretto da assumere di fronte alla sfera di difficoltà alla quale un adolescente può esporsi. Uscire fuori dai classici stereotipi “Ah, ai miei tempi era diverso…” , “Ah… I ragazzi di oggi…”, per citarne solo alcuni, forse potrebbe essere il primo passo per abbracciare un mondo delicato e molto sfaccettato di cui ogni singolo ragazzo è diversamente protagonista. Iniziare quindi ad affrontare il problema considerandolo come un fenomeno da comprendere e non come una fase da compatire è la strada giusta. In questa direzione si è mossa l’Organizzazione Mondiale della Sanità che nel 2017, ha proposto il progetto “AA-HA!” (“Accelerated Action for the Health of Adolescents”, Azione Accelerata per la Salute degli Adolescenti), per invitare tutti i paesi del mondo ad una maggiore attenzione verso la salute degli adolescenti, dotando di linee guida rispetto al problema.
Concludo queste riflessioni con le parole dell’antropologo M. Aime e dello studioso dell’adolescenza G. Pietropolli Charmet: “è quanto mai necessario che la comunità da un lato stabilisca in modo chiaro il confine tra il mondo dei giovani e quello degli adulti e che dall’altro ne protegga il passaggio, collocando segnali, punti di riferimento ben visibili”
Bibliografia
– Andolfi M. “, Mascellani A. ”Storie di Adolescenza”, Raffaello Cortina, Milano 2010.
– Fraschetti A. “Il mondo romano”, in Levi G. Scmitt J.C. (1994) Storia dei giovani, Laterza Bari 1994.
– Gambini P. “Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale”, Francoangeli, Milano 2007.
– Graham R.(2010) , “L’adolescenza oggi”– Rivista sperimentale di Freniatria
– Maggiolini A., Pietropolli Charmet G., (a cura di) “Manuale di Psicologia dell’adolescenza: compiti e conflitti”, Francoangeli, 1994.
– Williamson D.S.(1982) “La conquista dell’autorità personale nel superamento del confine gerarchico intergenerazionale” In terapia Familiare n. 11
– https://www.sinapsyche.it/author/greta/
– Salute degli adolescenti: la strategia globale dell’Oms – Quotidianosanita.it – NeuroNews24.it
LUCA BENVENUTO