Il nostro Blog (albardelluvi) è tempo, luogo e spazio dove i pensieri dialogano e si incontrano per generarne sempre di nuovi e diversi. E infatti altri pensieri sono stati evocati dalle riflessioni che Chiara Tronconi ha espresso nell’articolo pubblicato ieri, 19 ottobre dedicato alle drammatiche ricadute sui figli determinate dalla violenza che colora molte delle recenti e meno recenti cronache che si occupano di femminicidi. Con particolare riguardo ai padri che uccidono le madri, lasciando i figli in un silenzio emotivo muto e disperante.
Scrive Chiara Tronconi: «esiste una povertà emotiva diffusa tra coloro che non sono abituati a nominare i propri sentimenti. Dovremmo lavorare molto sull’educazione alla gestione delle emozioni. A scuola dovremmo insegnare ai bambini a esprimere i propri sentimenti, perché l’educazione non può essere un semplice passaggio di saperi, ma deve essere un esercizio di umanità. E solo formando bambini più sensibili, più capaci di esprimersi, più motivati a raccontarsi si potranno avere adulti aperti al confronto, alla discussione, all’inclusione, alla tolleranza». Ecco che la scuola è (o dovrebbe essere) anche un esercizio di libertà, un laboratorio-liberatorio dove le emozioni acquisiscano il diritto a manifestarsi. Sotto l’Albero dai Mille Colori è proprio ciò che quotidianamente accade: bambine e bambini incontrati dalle educatrici, dai volontari e dalle volontarie UVI sono accompagnati lungo il sentiero del mutuo e reciproco rispetto. Viene loro insegnato ad ascoltare e gestire le proprie emozioni, premessa essenziale per acquisire creativamente i nuclei di sapere disciplinare via via trasmessi.
La povertà emotiva sottolineata da Chiara Tronconi investe l’umanità intera, forse da sempre, generando nella sfera maschile un terrore cui si risponde con atteggiamenti violenti. Una sorta di dialettica perversa tra maschile e femminile rintracciabile addirittura nei miti arcaici.
Il tema è lungamente discusso e approfondito da Tilde Giani Gallino (Tilde Giani Gallino, La ferita e il re, gli archetipi femminili nella cultura maschile, Milano, Cortina, 1986). Vale al riguardo la pena di riflettere sulla potenza espressa dai miti, dalle leggende, dai sogni e dalle storie, fiabe comprese. E, anche, dal gioco degli Scacchi, dove il pezzo più forte è la Regina: la partita termina con la morte del Re. Quando, cioè, il maschile è vinto e sconfitto…
In più occasioni, C.G. Jung riferisce un sogno, detto “dello studente”. Vediamone la sintesi.
Un mago nero andò a trovare un mago bianco. Il mago nero cominciò a narrare una strana storia, di come egli avesse trovato le chiavi perdute del paradiso e non sapesse come usarle. Gli raccontò che il re del paese in cui viveva cercava una tomba che gli si addicesse. Fra i molti possibili il re scelse un antico sepolcro, il più bello che vi fosse nel suo regno e che, secondo un’antica leggenda, conteneva il corpo di una vergine. Il re aveva fatto aprire il sepolcro dissotterrato, aveva gettato via i resti mortali della vergine per poi seppellire nuovamente il sarcofago vuoto, con l’intenzione di costudirlo e usarlo in un secondo momento, alla propria morte. Ma appena le ossa contenute nel sarcofago erano state esposte alla luce del giorno, l’essere a cui un tempo erano appartenute, cioè la vergine, si era trasformato in un cavallo nero, scomparso fuggendo nel deserto. Il mago nero, venuto a conoscenza della cosa, aveva inseguito il cavallo da un capo all’altro del deserto, giungendo infine dove ricominciava la prateria. Qui aveva trovato il cavallo che pascolava e anche le chiavi perdute del paradiso. Ma non sapeva che cosa farsene. Nel sogno, il mago nero si era rivolto al mago bianco perché lo aiutasse e gli dicesse che cosa fare con le chiavi del paradiso ma il sogno si interruppe prima che potesse ricevere una qualsiasi risposta.
Nell’interpretazione avanzata da Tilde Giani Gallino vengono brevemente analizzate tre figure: il re, la vergine morta, il mago. La società maschile viene individuata dalla figura del re, forte del suo potere incontrastato di monarca, sprezzante dei diritti altrui, che sceglie come tomba che si addica alla propria maestà il sarcofago di una vergine che aveva regnato prima di lui. Il re ripete e sintetizza in modo simbolico, con il suo comportamento, il passaggio da una certa forma di cultura gineconcentrica (femminile) alla cultura maschio-centrica: un passaggio forse risalente al periodo neolitico o alle prime età dei metalli e di cui sono rimaste diverse tracce in ogni società umana.
La vergine disseppellita che si trasforma dimostra invece, in modo simbolico, che l’immagine numinosa femminile non può morire veramente: i suoi poteri naturali non si dissolvono mai. Anzi, riprendono sostanza quando sono esposti alla luce e al calore.
Il mago nero sembra rappresentare il nuovo potere sapienziale maschile. Con l’aiuto della “scienza”, delle nuove conoscenze acquisite e con la ferma convinzione della propria superiorità, il mago nero riesce a ripercorrere la stessa strada compiuta in modo naturale e autonomo, senza difficoltà, dalla dea-cavallo nero. E qui scopre le chiavi del paradiso e della sapienza, che la donna aveva sempre posseduto. Frastornato dalla propria scoperta, il mago pasticcia. Si dimentica della vergine-cavallo-nero, che pure aveva inseguito con enormi sforzi attraverso tutto il deserto e oltre e si interessa soltanto alle chiavi che ha ottenuto grazie al cavallo. È convinto che le chiavi trovate abbiano un potere superiore, che possano penetrare nei buchi di tutte le serrature, che possano aprire ogni porta, compresa quella del paradiso e che, possedendole, la sua potenza possa diventare onnipotenza. Già pregusta il suo potere ma poi si accorge che non sa come usarle. Ricercando la collaborazione di altri maschi, si rivolgerà a un altro mago ma anche la sapienza del mago bianco non riuscirà a superare i limiti imposti dall’arroganza maschile.
Uno strano sogno, senz’altro, ma che testimonia l’importanza del richiamo che Chiara Tronconi fa alla povertà emotiva: il maschile ne soffre fin dalle origini ed è forse questa la ragione per cui, ancora ai giorni nostri, il maschio reagisce con aggressività e violenza.
Riferimento iconografico: ilblogdiadri.altervista.org
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