Il Senatore della Repubblica (e proprio questo è il bello) Simone Pillon ha espresso un’altra delle sue consuete e singolari opinioni: le femmine – per lui “femmine” non “donne” – sono geneticamente predisposte all’accudimento e per nulla portate per la matematica o per le materie scientifiche. Almeno così riportano molti siti Internet sulle pagine pubblicate di recente. Il richiamo al paranormale è doveroso in quanto Margherita Hack, Marie Curie e Rita Levi-Montalcini (che Pillon dovrebbe senz’altro conoscere) hanno voluto incontrarci per discutere della vicenda. In un primo momento stava per prevalere la scelta di lasciar perdere: l’argomentazione è di una tale futilità che non varrebbe proprio la pena di prenderla in considerazione. Ma poi ha prevalso un altro orientamento: e se qualcuno ci credesse? In fondo, si tratta del parere di un Senatore, il cui acume intellettuale è noto ai più. Ecco allora la decisione presa (siamo o non siamo nel campo del paranormale…?): sorprendere Pillon nel sonno e, lui serenamente dormiente, dargli un buffetto sulla guancia per sussurrargli: “amico, ti sei reso conto di quello che hai detto? Dai, al risveglio ripensaci. Chissà che la ragione non ti faccia, almeno per un solo momento, visita”. E se andarono, non prima di aver lasciato sui tavolini del nostro Bar parte dei loro lavori di astrofisica, matematica, fisica, neurologia. E Rita Levi-Montalcini anche Senatrice a vita e insignita del Premio Nobel. Non certo assegnatole per le sue specifiche competenze nell’accudimento. Immaginiamo il fastidio provato da Pillon.
Fin qui la noterella scherzosa e il richiamo al paranormale. Ma ora Alice Aratti, con il proprio contributo, ci invita a riflettere seriamente. Una riflessione che può articolarsi grazie e a partire dal parere espresso da Pillon. E di questo noi tutti gli siamo grati.
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Aurora Leone, comica del gruppo The Jackal, allontanata dal tavolo dei giocatori della Partita del Cuore perché donna, ma era stata convocata come membro della squadra. Quindi le donne possono o non possono giocare a calcio?
Pillon dichiara, sulla base delle percentuali di iscrizioni alle facoltà universitarie, che le donne siano meno portate per le materie scientifiche e che abbiano una maggiore propensione a professioni di accudimento e puericultura. Quindi le donne possono o non possono far parte del mondo della scienza?
Un articolo de Il sole 24 ore dichiara che, analizzando gli ambiti sportivi praticati da donne e uomini, emerge una percentuale del 38,5% di maschi che giocano a calcio e una percentuale del 38;7% di femmine che praticano ginnastica, aerobica o altre tipologie di fitness più generiche; inoltre, il dato percentuale di donne che giocano a calcio corrisponde all’1,2% confermando quindi i classici stereotipi di genere. Questo significa che le donne non praticano il calcio perché non sono “portate”? O forse perché non sono “inclini” a sport da sempre associati al mondo maschile?
Analizzando i dati riportati nel bilancio di genere 2020 del Politecnico di Milano, che ben rispecchiano il quadro nazionale, risulta evidente la segregazione per genere nei corsi di studio durante l’anno accademico 2018-2019; prendendo come esempio alcuni indirizzi di studio della facoltà di ingegneria, che tipicamente viene associata al genere maschile, il bilancio rileva una presenza maschile di iscritti superiore all’80%, dato che riflette una segregazione per genere molto marcata. Questo significa che le donne non si iscrivono a ingegneria meccanica, elettronica, informatica o aerospaziale perché non sono “portate”? O forse perché sono “inclini” ad ambiti di studio e di professione più prettamente umanistici?
In realtà la spiegazione è ben diversa: spesso si tende a pensare che solo perché le cose sono sempre andate così allora si continuerà a fare così e se sono sempre stati gli uomini a giocare a calcio o a studiare la scienza allora si continuerà così. Ciò non significa però che le donne non vogliano far sentire la propria voce e sovvertire queste differenze di genere. La società sta facendo grandi passi avanti nelle campagne di sensibilizzazione sulla parità di genere e sulla possibilità di far accedere le donne a mondi fino a pochi anni fa di esclusiva competenza maschile. Spesso però sono le donne stesse ad attuare processi di auto sabotaggio e ad escludersi da sole da ambienti sportivi o professionali che da sempre si associano agli uomini.
In ambito psicologico questo fenomeno prende il nome di “profezia che si autoavvera”, concetto elaborato nella psicologia sociale da Robet K. Merton nel 1984 all’interno della sua opera Teoria e struttura sociale. La profezia che si auto avvera si verifica ogniqualvolta una supposizione, per il solo fatto di essere considerata vera, alla fine si verifica confermandone quindi la veridicità: in poche parole, se si suppone che le donne non siano portate per il calcio alla fine le donne tenderanno ad evitare di giocare a calcio confermando così la teoria che il genere femminile sia più incline ad altri tipi di sport più delicati e meno maschili; se si suppone che le donne non siano portate per professioni di ambito scientifico, fino a qualche secolo fa ad esclusivo appannaggio degli uomini, alla fine le donne tenderanno ad evitare facoltà scientifiche adeguandosi al pensiero stereotipato della società che impone loro unicamente lavori di accudimento e materie umanistiche.
Gli stereotipi possono agire a tal punto da far credere alle ragazze di essere incapaci solo perché tutta la società attorno a loro pensa che la matematica o la fisica siano più adatte a menti scientifiche e razionali erroneamente associate esclusivamente agli uomini. Se entrassimo in un negozio di giocattoli per bambini e percorressimo le corsie dei reparti dedicati alle bambine, troveremmo bambole, peluche, libri di principesse, case delle Barbie, … ma nessun kit del piccolo chimico o scatole di giochi didattici sulla matematica (a discolpa dei grandi marchi di giocattoli è comunque corretto dire che anche a tal proposito si stanno facendo progressi).
Sentire su di sé il peso delle aspettative di una società che ritiene le donne poco inclini alle materie scientifiche le porta ad avverarne la profezia: Richardson e Suinn (1972) definiscono l’ansia per la matematica come «un sentimento di tensione, apprensione, paura che interferisce con la manipolazione dei numeri e la soluzione dei problemi matematici in una vasta varietà di situazioni quotidiane e accademiche»; ciò significa che l’ansia generata dalla consapevolezza che per la società una bambina tenderà a compiere più errori nella risoluzione di problemi matematici rispetto a un bambino la porterà a sbagliare per davvero.
Nonostante gli stereotipi, nonostante la segregazione per genere, nonostante le false credenze e le discriminazioni, c’è Sara Gama, calciatrice e dirigente sportiva, membro della nazionale italiana di calcio femminile. C’è Cristiana Capotondi, attrice e dirigente sportiva eletta vicepresidente della Lega Pro nel 2018. C’è la FIGC, che a partire dal 2017 ha offerto la possibilità ai club di calcio maschili di acquisire società dilettantistiche femminili. C’è Samantha Cristoforetti, astronauta, ingegnere e prima donna membro degli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea. C’è Kathrin Jansen, dottoressa a capo del team di ricercatori che ha portato alla scoperta del vaccino anti-Covid Pfeizer.
E lo dico da donna laureata in psicologia che ha scelto di seguire non le inclinazioni della società ma le proprie. Che una donna scelga di fare l’insegnante di scuola dell’infanzia o di lavorare in un laboratorio di fisica non conta, conta che la sua scelta sia stata consapevole e libera dalle influenze degli stereotipi di genere.
Anche se si è sempre fatto così non significa che questo sia il modo giusto di fare.
ALICE ARATTI
Riferimento iconografico: Suffragette, dal film: Mary Poppins