Scrive Giorgio Caproni: «Per quanto tu ragioni, c’è sempre un topo – un fiore – a scombinare la logica. Direi che tutto nel tuo ragionamento è perfetto, se non avessi davanti questo prato di trifoglio. E sarei anche d’accordo con te, se nella mente non mi bruciasse, con dolcezza, quest’odore di tannino che viene dalla segheria sotto la pioggia; quest’odore di tronchi sbucciati, e non ci fosse il fresco delle foglie bagnate come tanti lunghi occhi e il persistente blu della notte».
Sembra fargli eco Herbert A. Simon: «Un certo atteggiamento di ottimismo, o quanto meno supposto tale, sostiene che se noi usiamo con sufficiente intensità le nostre facoltà intellettive, siamo allora sufficientemente razionali e possiamo quindi risolvere tutti i nostri problemi. Si è sempre pensato che il diciottesimo secolo, l’Età della Ragione, fosse totalmente impregnato di questo tipo di ottimismo; se ciò sia vero o sia falso è questione che preferisco lasciare agli storici, certamente, però, le chanches che al giorno d’oggi e nel nostro mondo offriamo alla ragione, sono assai modeste».
E ancora: «I moderni epigoni di Archimede sono ancora alla ricerca del fulcro sul quale fissare la leva che deve sollevare il mondo intero […] Allo scopo di ottenere qualcosa il più possibile simile ad una teoria completa della razionalità umana, dobbiamo capire quale ruolo rivesta in essa l’emozione».
Ci si deve allora ragionevolmente emozionare per poter sperare di comprendere e capire ciò che desideriamo di volta in volta comprendere e capire. Per esempio: che senso ha una rosa? E lo dovrebbero fare insegnanti, volontari e genitori (ricordandosi che l’ordine delle tabelle Excel è illusorio).
Bibliografa:
Giorgio Caproni, Poesie, 1932-1986, Milano, Garzanti, 1989
Herbert A. Simon, La ragione nelle vicende umane, Bologna, Il Mulino, 1992
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