TRAGICO E SENSO COMUNE.

In Instagram si è aperto uno spazio dove le PSICOCOSE raccontano della Psicologia in quanto strumento di vita e di lavoro.

Su iniziativa di un gruppo di giovani psicologhe e psicologi, ex tirocinanti e tirocinanti presso UVI (Alice, Carol, Cristina, Ivan e Antonio) è stata data vita e fondata PSICOCOSE, uno spazio, un tempo e un luogo dove si discorre di vicende umane che, come tali, riguardano il sapere psicologico.

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In questo tempo a rischio pandemico, dove Corona Virus ha fatto del mondo la propria discoteca, le PSICOCOSE poste e ordinate nella biblioteca del pensiero, suggeriscono e si prestano a riflessioni che – in apparenza – con la Psicologia c’entrano poco o nulla.

Le (psico)cose, al contrario e solo per esempio, riguardano – e molto – il “Tragico” e il “Senso Comune”, dimensioni esistenziali e sensazioni quotidianamente sperimentate da chiunque viva questo strano e inquietante periodo.  Prima di tutto, il “Tragico”, relativamente alle migliaia e migliaia di morti, molte delle quali conseguenza più che del virus, dell’approssimazione organizzativa umana; e poi, il “Senso Comune”, che a tratti è sembrato molto più all’altezza della (tragica) situazione di quanto i televisivi rappresentanti della scienza non abbiano finora fatto.

Prendiamo, come è ormai nostra abitudine, le (psico)cose partendo da lontano. Hegel racconta che Napoleone, discorrendone con Goethe, abbia affrontato proprio il tema della natura del “tragico”: la tragedia moderna – così sembra la pensasse – si distingue essenzialmente dall’antica per il fatto che noi non abbiamo più un destino al quale gli uomini debbano sottostare; al posto dell’antico Fato, è subentrata la politica. Le iniziative ragionevoli e intelligenti dell’uomo, mettendo a profitto i mezzi grandiosi offerti dalla tecnica e dalla scienza, possono e debbono rimuovere molte occasioni di sofferenza, di lutto, di inutile travaglio nelle più svariate situazioni umane. Vi sono malattie che possono essere curate e guarite; la povertà, la fame, l’ignoranza, la paura di vivere, l’assenza di speranza, il senso di frustrazione, sono altrettante piaghe sociali che non costituiscono per l’uomo un fato ostile e insuperabile, bensì una condizione di “alienazione” e di disagio che è possibile rimuovere e superare. Ciò che si può chiamare il “disumano” come fenomeno sociologico e psicologico, è un irrazionale di tipo storico, una negatività che non ha nulla di congenito o di fatale. A questo proposito, Napoleone chiamava “politica” ogni attività umana quando si impegnasse nella messa in opera di mezzi adeguati ed efficienti per trasformare la società e convertire le situazioni da “disumane” in “umane”, da situazioni irrazionali in situazioni controllate dalla ragione. L’ipotesi e la speranza napoleonica è che si possa sostituire l’iniziativa umana al prepotere del Fato. Una speranza che facciamo nostra, con un’avvertenza: la politica alla quale si riferisce Napoleone, è la “buona politica”; ma noi sappiamo che spesso si ha a che fare con una  “cattiva politica” dove, a farla da padrone (sostituendo, in un certo qual modo, il destino cinico e baro…) è la smania di potere e l’ossessione dell’arricchirsi e del guadagno. La storia del nostro paese e del mondo intero, ne ha dato e ne dà testimonianza inoppugnabile.

Non ogni negatività non è quindi tragica e a volte la durezza dell’ostacolo è, o dovrebbe essere, uno stimolo per l’iniziativa, una specie di benefica provocazione per l’uomo accorto e prudente che diviene creativo proprio per rispondere alla sfida dell’ambiente. Nel nostro specifico caso: per rispondere alla sfida lanciata da COVID19.

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