BISOGNA FARSI VENIRE DELLE IDEE (Discorrendo di Vaccino, di Coronavirus e di Serendipità: ciò che si vede dipende da come si guarda)

Roberta Smilare, ex tirocinante all’UVI, ha pubblicato il post sulla propria pagina Facebook “LA QUARANTENA DEI BAMBINI. UN TRAUMA A CUI NESSUNO STA PENSANDO”, un allarme lanciato dal quotidiano on line TS – La Tecnica della Scuola (quotidiano che invitiamo caldamente a sfogliare). La medesima pubblicazione riferisce di un fatto accaduto a Milano lo scorso 27 aprile: “Aggredita dal marito viene salvata dalla docente in video conferenza con il figlio”. Altri e molti sono senz’altro i casi che descrivono gli effetti dei pur necessari “arresti domiciliari”. Ma il tema dei bambini e delle violenze domestiche ben si presta a caldeggiare uno sforzo collettivo per dare una mano alle commissioni tecnico-scientifiche: occorre farsi venire delle idee per affrontare lo spinoso problema del contagio, della pandemia, di come debellare il virus. Ma come? Proviamo a discorrere dell’ipotetico (e, secondo alcuni, improbabile) vaccino. L’argomento riguarda il ruolo che la FORTUNA riveste nel campo della ricerca scientifica e – in generale – ogni qualvolta ci si trovi nella necessità di scoprire qualcosa di necessariamente nuovo e diverso ai fini del miglioramento della vita, propria e altrui. Diamo per scontata la stizzosa reazione di gran parte dei membri delle attuali commissioni tecnico-scientifiche; facile immaginarsi l’innalzarsi di un coro unanime: “La fortuna non c’entra nulla!”. Ma i fatti sono fatti e la storia, al riguardo, insegna.
Come si sviluppa un’idea che in seguito si dimostri risolutiva in rapporto al problema che ci si trova nelle condizioni di risolvere? Occorre prima di tutto saper comprendere il linguaggio delle cose mute e minute. Pasteur ebbe a rilevare che “Nel campo dell’osservazione il caso non favorisce che gli spiriti preparati”. Consideriamo allora, e solo come esempio illuminante, come Jenner scoprì il vaccino che debellò il vaiolo.
Pietro Dri – medico e divulgatore scientifico – scrive e racconta: «Edward Jenner realizzò la prima vaccinazione, teorizzandone l’importanza». Il ruolo al riguardo giocato da un approccio serendipico fu essenziale e quella di Jenner fu una serendipità a scoppio ritardato. «Mentre era studente di medicina, Jenner amava girare per i campi e osservare la vita dei pastori e degli animali. Parlando con una contadina che stava mungendo e alla quale aveva chiesto del latte, affrontò il discorso sul vaiolo che in quei giorni – siamo nel 1758 – stava mietendo molte vittime. La pastorella disse a Jenner che la terribile malattia non le dava nessuna preoccupazione perché aveva già fatto il vaiolo vaccino – quello che colpisce le mucche – e che quindi era protetta nei confronti del vaiolo umano. Così almeno voleva la saggezza popolare. Jenner non fece attenzione più di tanto all’affermazione della pastorella che però gli venne alla mente una ventina di anni più tardi quando, ormai medico in carriera, si stava occupando del vaiolo. Capì allora l’importanza di quanto gli aveva detto la pastorella: il vaiolo dei bovini proteggeva i pastori, rendendoli resistenti alla malattia umana. Perché allora non sfruttare questo fenomeno utilizzandolo per difendere tutti? Espose la sua brillante idea a John Hunter, celebre medico del tempo, che però non gli diede retta e anzi scoraggiò i buoni propositi di Jenner il quale dovette arrangiarsi e solo sul finire del secolo, nel 1796, decise di passare alla fase operativa. Aveva portato con sé, a Londra, per studiarlo in laboratorio, il liquido estratto da alcune vesciche di vaiolo bovino, la cui forma provoca tipiche lesioni sulle mani dei mungitori. Nel maggio di quell’anno inoculò il liquido a un bambino di otto anni, James Philips, che sopportò bene l’iniezione e non ebbe alcun disturbo. Dopo due mesi Jenner passò alla fase successiva dell’esperimento: richiamò James e gli iniettò del materiale infetto tratto da un malato di vaiolo. Il ragazzino non contrasse la malattia, dimostrando così l’efficacia e il valore dell’abduzione, metodo seguito da Jenner». L’azione irresponsabile di Jenner salvò la vita a milioni di persone e anche al povero James Philips andò per fortuna bene.
La sorte condusse per mano anche Alexander Fleming: la scoperta della penicillina vide nella fortuna e nel caso l’elemento di principale successo. Naturalmente Fleming era disposto e preparato a coglierne i segnali.
Carlo Besana (Cattedra di Semiotica e Metodologia medica all’Università di Milano) scrive: «E’ dunque così difficile osservare la realtà? Sant’Agostino indica nella perdita della visione della realtà e nella condanna alla percezione delle sole apparenze, degli “idoli” anziché del reale, la punizione inflitta all’angelo ribelle. Anche per noi mortali, angeli caduti, l’osservazione implica uno sforzo interpretativo. Kierkegaard ha sostenuto che “ciò che si vede dipende da come si guarda. Poiché l’osservare non è solo un ricevere, uno svelare, ma al tempo stesso un atto creativo”».
Comprendere che cosa ci sta accadendo comporta la correlata capacità di interpretazione creativa dalla quale possono discendere nuove e realistiche “invenzioni” risolutive. La comunità scientifica, cui compete la responsabilità di indicare come gestire il fenomeno COVID19, corre tuttavia il rischio che nei vari laboratori continuino ad agitarsi i fantasmi del Potere e dell’Invidia. Non è solo affare dei tecnici ma di tutti gli abitanti del mondo. Non potrebbe essere che, anche in questo caso, una pastorella analfabeta veda ciò che sfugge agli specialisti? Jenner ha risolto il problema del vaccino proprio perché ha tenuto presente ciò che la pastorella gli aveva detto. “Pastorelle di tutto il mondo, unitevi!”, verrebbe da dire.

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