Gianni Marocci scrive: «Il rapporto spazio/tempo è definibile come cambiamento ma anche come distanza fra due punti. Se la relazione è poi incontro con l’altro da sé, possiamo allora parlare di distanza relazionale e psicologica fra gli individui. Non conosciamo la relazione con l’altro né l’altro “da noi”. Per fare questo, dobbiamo entrare in rapporto con la diversità dell’altro, creare un legame minimo che affronti la distanza che ci separa. Giochiamo nella relazione, fra lontananza e vicinanza, per tentare di creare (magari illusoriamente) quest’ultima, in uno scambio mobile e reciproco di cambiamenti indotti che ci portano sempre – e comunque – al limite dell’inconoscibilità. Del resto, l’osservatore modifica l’oggetto osservato […].
Questo gioco è naturalmente senza fine, poiché vi saranno sempre nuove distanze incolmabili fra di noi, nuovi deserti da affrontare, nuove sensazioni di estraneità: l’importante è comprendere come sia fisiologico che tutto ciò accada e, secondariamente, che saremo in ogni caso in grado di affrontare costruttivamente le connesse dissonanze».
Le considerazioni di Gianni Marocci sono state appuntate nel 1996, quindi molti anni orsono. Però è interessante, per i professionisti della relazione (volontari, insegnanti, educatori), riconoscerne l’attualità: in questo periodo, la distanza sociale pare sia l’unico modo per tutelarsi dall’invasione del virus. Orbene: sarà forse il caso di cogliere questa singolare (e non particolarmente felice) condizione, per riflettere sulle “diversità” – nostre e altrui – che sarà opportuno vivere e considerare come sorgente e fonte di una maggior e più affettuosa conoscenza. Di noi stessi e delle persone con cui intessiamo relazioni, al momento seppur virtuali.
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Meravigliosooooooo
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