E’ una considerazione per nulla originale ma vale la pena comunque di avanzarla: educatori, educatrici, insegnanti e genitori fanno tratti di strada insieme ai loro più giovani compagni di viaggio. Passo dopo passo. Camminando, appunto.
Erling Kagge, nel suo libro “Camminare. Un gesto eversivo” ( Einaudi, Torino, 2018) formula un’ipotesi interessante per chiunque si occupi di educazione: camminare ci ha reso possibile diventare ciò che siamo diventati. Se dovessimo smettere di camminare, smetteremmo di essere noi stessi. Da seduti la vita diviene per forza meno fisica. Un punto di vista senz’altro condiviso dai Design che vedono nella sedia la metafora di una società costrittiva. Infatti sottolineano come l’essere seduti favorisce la sedazione (seduto / sedato). Questo è il motivo perché in linea di massima nelle scuole materne gioco e movimento la fanno giustamente da padroni.
D’altro lato, e in una prospettiva più generale, l’Autore ricorda come l’idea iniziale era che Homo Sapiens si fosse sviluppato così tanto, rispetto alle altre creature, da essere destinato ad essere per sempre superiore alle altre specie. Col senno di poi – e considerando ciò che sta avvenendo nel mondo d’oggi – pare proprio che al riguardo si sia presa una cantonata. Da Sapiens dovremmo a buon diritto chiamarci Insipiens, che è il contrario di Sapiens, cioè non sapiente.
Le scuole, di qualsiasi ordine e grado, sono il luogo dove si dovrebbe essere contenti di passare un po’ del proprio tempo. Uno spazio dove poter provare la soddisfazione di imparare cose nuove e interessanti. Il che, tuttavia, avviene di rado.
Alunni e studenti sono gli ideali destinatari della lettera che Søren Kierkegaard scrive alla nipote: “Non perdere la voglia di camminare…e non pensare che ci siano pensieri tanto pesanti da non poterseli lasciare alle spalle camminando”. E camminare viene così a presentarsi come efficace antidoto contro la sedazione culturale.
Merleau-Ponty è dell’opinione – a questo punto, condivisibile – che l’uomo pensi con tutto se stesso, sia con la testa e sia con il corpo: con le dita dei piedi, con i piedi, con le gambe, con le braccia, con la pancia, con il petto e con le spalle. I piedi, continua Merleau-Ponty, sono capaci di capire e di pensare ancor prima della mente.
Facendo almeno per un momento propria questa ipotesi, ecco che le educatrici, soprattutto della scuola materna (che ospita entità esistenziali tese e curiose di conoscere le cose del mondo), dovrebbero far camminare i bambini a piedi nudi. Si accorgerebbero della diversità tra il pavimento dell’aula e la terra del giardino, del bagnato e dell’asciutto, del freddo e del caldo. Sfiorare l’erba, sentire i sassi che pungono, magari toccare con le dita dei piedi un gatto, ammesso che il gatto si faccia toccare. Mettendo a tacere la preoccupazione che il bambino si faccia male, punto da un chiodo arrugginito. Bisogna del resto abituarsi all’idea che dopo pochi anni quegli stessi bambini saranno probabilmente punti dalla vita, che a volte lascia ferite dolorose. E poi e comunque: prima di fare uscire a piedi nudi i bambini nel giardino, o anche per strada, basta precederli e controllare che non vi siano chiodi o siringhe usate e lasciate da persone che, è quasi certo, hanno passato un infanzia con poca gioia e nessuna meraviglia.
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