PECUNIA, DEA MINORE AI MARGINI DEL MONDO (Lasciata sola, è soltanto rabbia, rancore, vendetta).

I testi antichi sono reticenti sulla vera natura di Pecunia, dea del denaro e protettrice degli uomini d’affari che essa invocavano per averne in abbondanza. Non ebbe mai un volto e poco si conosce della natura di codesta dea minore. La vera storia che la descrive ci racconta infatti, in modo velato e sottaciuto, di una vendetta e d’un grande inganno protratto contro gli dei e contro gli uomini. Perché, quindi, il lato sacro e la natura di questa divinità sono tanto ambigui e sconosciuti? Perché, mentre si percepisce nell’eco del suo nome l’acre aroma della vergogna e dell’inganno, essa ci ha voluto lasciare proprio un motto antitetico qual è Pecunia non olet ? Pecunia viveva nelle terre ai margini del mondo, dea minore invocata di rado, velata ombra al servizio del dio della ricchezza: Pluto. Il suo padrone, era descritto come obeso per l’intrinseca abbondanza, bendato per l’imparzialità e la casualità nel distribuire le ricchezze, zoppicante per la lentezza dell’accumulo, alato per la rapidità del dispendio.
Pecunia soffriva i dolori e la rabbia dell’ombra, detestava d’essere strumento e mezzo di un altro dio senza essere essa stessa oggetto d’adorazione. Giorno dopo giorno rancore e invidia crescevan dentro di lei come virgulti di vendetta. Pecunia godeva di tre insoliti poteri: sapeva crescere e scomparire nel tempo, poteva dividersi in infinite parti identiche a sé e sapeva donare agli uomini il potere di contrastare il disegno degli dei. Grazie a queste doti essa poteva spostare gli armenti e fermare la freccia di Diana, scatenava guerre in vece di Marte e cedevan facilmente a lei Venere e suo figlio Cupido.
Pecunia conosceva bene tutti gli dei e grazie al suo potere li sapeva pungere e far infuriare con facilità e piacere. Iniziò quindi a tessere un piano per colpire e ingannare tutti, persino il grande Giove, con l’intento nascosto di ottenere il riscatto e fuggire dalla sua condizione perenne di rabbia e insoddisfazione. Al padre degli Dei si mostrò sfidante e gigantesca, lo schernì in tutta la sua grandezza finché Giove, turbato dagli eccessi e dalla forza d’una dea minore, la convocò in cielo per porre fine a tale gioco. Giove le propose di scegliere un altro dio cui legarsi per sempre, rinunciando al potere d’influenzare e utilizzare le virtù divine; sarebbe assurta al cielo e avrebbe qui trovato e provato una vita pienamente divina. Ella, tronfia di grandezza e rabbia, pur certa di quale sarebbe stata la reazione, ribatté seccamente di amare sé stessa e gli uomini più degli Dei e rifiutò il fato. Giove la ricacciò per sempre sulla terra con i suoi figli Esculano e Argentino. Sarebbe stata trasformata nell’oggetto stesso del suo potere e custodita nei templi dedicati ad altri dei: fu così che la dea divenne moneta. Immortale, moltiplicata e ancora capace di crescere o scomparire. Per sempre macchiata dall’invidia e per sempre legata ai vezzi dell’uomo. E fu così che Servio Tullio batté il primo conio di rame.
Sugli aspetti divini di Pecunia calò poi l’oblio e il mistero. Ambiguità e una squisita umanità, a ricordo di questi eventi, ne circondarono il nome. Giove ne cancellò l’immagine divina e annebbiò l’ingegno a poeti, letterati e uomini d’arte che d’essa avrebbero parlato. Così Pecunia, sotto la forma del denaro, crebbe libera fra gli uomini. Pecunia non più dea, fu venerata al fine al pari d’una dea. Giovenale scrisse: “Nulla fra di noi gode di tanta venerazione come la Ricchezza! E gli è pur ver che fra di noi tu non hai tempio ancora, ma altro non ci resta che d’innalzartene, ed ivi adorarti come adoriamo la Pace, la Buona Fede, la Vittoria, la virtù e la Concordia”. Pecunia è potere, è ricchezza, è grandezza ? Ma Pecunia senza l’uomo non è nulla, è soltanto rabbia, rancore e vendetta.
Il mito eterno ci ricorda quindi il senso ed il valore dell’uomo che prescinde dal denaro e del denaro che prescinde dalla rabbia e dall’invidia.

Riccardo Bettiga, Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia

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