SCALA (IM)MOBILE E FUTURO (IN)CERTO

“Si stava meglio quando si stava peggio”. Capita spesso di dirlo. Con toni sarcastici o con piglio convinto, con pathos nostalgico o con disilluso pessimismo. Un tempo – quando si stava peggio – eravamo dei nevrotici. Pieni zeppi di desideri proibiti, di pulsioni insane, di segreti inconfessabili, ci scontravamo contro una società pudica, rigorosa, moralista. Nel nostro inconscio ribollivano passioni impure, fantasmi edipici, fantasie illecite che non superavano la censura del nostro Super-io, della nostra coscienza morale perbenista e bacchettona. Gli altri si aspettavano da noi che fossimo buoni padri di famiglia, mogli fedeli, figli amorevoli e ubbidienti. Gli altri si aspettavano che le regole della buona convivenza fossero rispettate, che i nostri pensieri oscuri fossero messi a tacere e che le oscenità fossero riservate a facili battute da bar ma bandite dai pranzi della domenica. Gli altri erano la società e la società ci rendeva nevrotici.
Costretti a reprimere le nostre passioni e a emulare modelli di inarrivabile dirittura morale, ci sentivamo soffocati dal peso delle convenzioni sociali. “Il disagio della civiltà” lo chiamava Freud. Non si stava un gran bene, si stava peggio. O forse no?
Oggi non sembriamo poi tanto nevrotici. Siamo più liberi di dare sfogo ai nostri desideri e non ci sentiamo vincolati a ipocriti standard di rigore morale. Gli altri hanno smesso di ammonirci per ogni mossa falsa. La società l’ha fatta finita con i suoi opprimenti divieti. Oggi – e qui dovete immaginarvi che parte il trenino con una motivetto di sottofondo – “facciamo un po’ come c..zo ci pare”.
Un eccentrico psicoanalista sloveno, Slavoj Žižek, sul più bello ci rovina la festa. Abbassa la musica, interrompe le danze e ci rivolge una serie di irritanti domande: non è che il divieto di godere, un tempo appannaggio di un Super-io dispotico e incontentabile, oggi è diventato divieto di non godere? Non è che gli altri, un tempo attenti a imbrigliare i nostri istinti, adesso ci deridono se non siamo capaci di godere abbastanza? Non è che adesso ci sentiamo tanto liberi di esprimere il nostro desiderio da farlo diventare un ordine?
“La psicoanalisi deve rendersi conto che la vecchia situazione, nella quale la società è portatrice di divieti e l’inconscio di pulsioni sregolate, è oggigiorno invertita: è la società ad essere edonista e sregolata, mentre è l’inconscio che regola” ecco cosa dice quel menagramo di Žižek.
Insomma, se prima i cinegiornali Luce ci imponevano una sgradita serietà, oggi siamo invasi di trasmissioni satiriche con le risate preregistrate che ci avvertono: “E’ il momento di ridere, fallo con gusto!”.
Se prima ai pranzi della domenica i figli adolescenti dovevano stare attenti a non tradire i segni degli eccessi notturni, ora sono i genitori stessi che, compiaciuti, li provocano: “Allora, te la sei spassata? C’hai dato dentro stanotte, eh?”.
Per intenderci, è come essere a una festa dove tutti si divertono come matti e, ancheggiando al ritmo di un ballo di gruppo, ci ingiungono di fare altrettanto. Noi non ci divertiamo per niente. Ci sforziamo di sorridere e di farci contagiare dall’ilarità generale, ma proprio non và. Terribile! Allora tanto meglio una cerimonia formale, dove è chiaro che tutti si annoiano da morire e non aspettano altro che il momento per trafugare una bottiglia di champagne e tagliare la corda insieme a un amico.
Il rischio è che questo imperativo al godimento ci faccia perdere il senso della vera libertà. Ci sembra che essere liberi voglia dire fare tutto quello che ci pare, con il plauso dei nostri cari e l’approvazione di un pubblico entusiasta.
Ma essere liberi non significa imparare a mediare tra i propri desideri e i propri limiti? Esercitarsi ad armonizzare le proprie esigenze con quelle degli altri? Fare qualcosa di cui poter essere responsabili e di cui, magari, poter andare anche fieri?

Caterina Croce

 

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