L’utilizzo di enormi eserciti di massa e dunque l’organizzazione di flussi costanti di soldati attraverso i paesi e le linee del fronte, l’impiego su larga scala di una tecnologia bellica avanzata nonché l’adattamento della struttura economica all’attività militare, furono solo alcuni degli elementi che fecero del primo conflitto mondiale un evento senza precedenti. La guerra richiese uno sforzo inedito per la rapida riconversione del sistema industriale e per la preparazione di uno scontro caratterizzato da tattiche e logistiche innovative: le conquiste del sapere scientifico avrebbero stravolto l’azione degli eserciti e le sorti dei combattenti. Per questo, ancor più che in passato, il contributo e l’intervento in prima linea di tecnici e scienziati apparve da subito determinante.
Negli stessi anni la psicologia affrontava profondi cambiamenti: se in area tedesca infatti si assisteva alla nascita della Gestaltpsycholgie, risposta antielementista al modello wundtiano, negli Stati Uniti la ricerca di uno metodo sperimentale più preciso ed affidabile trovò risposta nel comportamentismo, che ribaltava l’impostazione teorica ed applicativa delle “scienze della mente”. In questa cornice il primo conflitto mondiale ebbe un ruolo sostanziale nello sviluppo della psicologia americana e ne decretò l’uscita dagli ambienti accademici in favore di un diffuso sodalizio con l’industria. I test ideati dagli psicologi per selezionare i migliori soldati e, in un secondo momento, per classificarli identificandone attitudini e differenze, furono l’elemento principale di questo rinnovamento: il successo del programma di selezione, che coinvolse 1.727.000 uomini, mostrò alla società il valore della disciplina.
Anche in Italia, investiti dal clima di cambiamento e in cerca di una maggiore visibilità accademica e sociale, gli psicologi furono coinvolti nel conflitto e le esperienze in prima linea ebbero una particolare rilevanza scientifica. Le ricerche che scaturirono dall’osservazione e dalla cura dei combattenti al fronte furono numerose ed eterogenee e sin dalle prime fasi dello scontro vennero pubblicati resoconti volti a ordinare osservazioni e risultati nonché ad elencare nuovi propositi.
Nel 1917 padre Agostino Gemelli, impegnato al fronte come medico e come sacerdote, fondatore e direttore del Laboratorio psicofisiologico del comando supremo dell’esercito, pubblicava sulla rivista Vita e pensiero un articolo ricco di spunti interessanti.
Folklore di guerra, per uno studio sistematico della psicologia del soldato illustra e propone un approccio innovativo:
Il prolungarsi della guerra e le condizioni speciali nelle quali essa si sviluppa a causa dei metodi tecnici che oggi essa impiega, favoriscono tra i nostri soldati lo svilupparsi di usi, il formarsi di tradizioni, di leggende, di pratiche e di credenze superstiziose, l’uso di forme convenzionali di linguaggio, il sorgere insomma di manifestazioni varie che conferiscono alla vita psichica del soldato una sua particolare fisionomia. (Gemelli, p. 3)
Le usanze, i canti, le credenze, perfino i dialetti popolari, strappati alle loro regioni d’origine, sono arrivati con i soldati al fronte e, mischiandosi, hanno dato origine ad un inedito bagaglio culturale che caratterizza e rappresenta la vita psichica del soldato:
Evidentemente, tutto questo materiale merita di essere raccolto per venire un giorno studiato. Si raccolgono da chi va in guerra cimeli di valore assai inferiore, armi, proiettili, indumenti, lettere. Si raccolgono documenti di valore assai più scarso anche dal punto di vista storico e si trascura di por mente a questo materiale prezioso di studio, del quale nulla o ben poco resterà domani, quando i soldati, sciolti dalle unità […] ritorneranno alle case loro. […]
Innanzi tutto nessun mezzo è migliore di questo per lo studio della psiche nel nostro soldato. Ogni altro mezzo di indagine evidentemente non è scevro di pericoli, in quanto è troppo facile mancare di oggettività. Invece, nei canti, nelle superstizioni ecc., noi abbiamo un materiale che riflette nella sua realtà più fresca l’anima semplice del nostro soldato. Questo materiale, poi, permette uno studio comparativo fra le regioni nelle quali vi furono reclutati i soldati, fra le armi nelle quali combattono, fra le località nelle quali essi si trovano. E che vi sia utilità anche d’ordine pratico nello studio dell’anima del soldato, a me pare non sia necessario insistere. (Gemelli, p. 4)
Nonostante le lacerazioni del conflitto, Gemelli conosce i questionari che negli altri paesi avevano dato un certo peso alle indagini folkloristiche come ad esempio il lavoro di Serge Yourievitch e Jules Courtier in Francia per iniziativa dell’Institut général psychologique, e si lamenta della mancanza di indagini analoghe sulle truppe italiane. Il materiale di studio infatti è vasto e disparato: il primo elemento nell’esperienza bellica è costituito da “l’arruolamento”, dove si possono valutare le pratiche compiute per sottrarsi al servizio militare. Si passa successivamente ai “segni di guerra, profezie o credenze” costituiti dalle leggende e dalle storie che dovrebbero spiegare l’origine e predire la fine del conflitto: comete, meteoriti ma anche il passaggio di uccelli forestieri sono elementi che suscitano lunghe discussioni fra le truppe dando vita a nuove leggende.
In seguito acquista sempre più importanza la “medicina popolare” sia per la sua storia che per le variazioni sui campi di battaglia: i contadini emiliani, ad esempio, lavano con urine le ferite dei cavalli, mentre i soldati siciliani portano sul petto sacchetti pieni di capelli di “fanciulle innocenti” come “preservativo contro le malattie sessuali”. Grande rilevanza hanno anche le “pratiche superstiziose” che raccolgono oggetti portafortuna come chiodi o ferri di cavallo ma anche le “formule magiche” per “arrestare il fuoco di un fucile”. Non meno diffuse nella quotidianità di chi combatte sono le “canzoni e i ritornelli” perché il milite italiano canta frequentemente sia nel pericolo e nella fatica che nei momenti di allegria e riposo. Qui le tradizioni popolari subiscono profonde mutazioni grazie ad “anonimi poeti” che aggiungono o cambiano strofe nella quali non mancano mai scherzo, ironia e tristezza. Infine, è necessario analizzare con attenzione “la lingua”, poiché i soldati si trovano nelle condizioni ideali per dar vita ad un “gergo” che anche in questo caso nasce dalla cultura popolare per poi mutare in modo imprevedibile all’interno delle trincee.
La raccolta sistematica di questi “copiosi dati di fatto”, destinati a sparire con la fine del conflitto, è necessaria per comprendere “l’anima del soldato attraverso le sue manifestazioni”. Per farlo lo psicologo italiano propone un questionario:
1) Quali sono i mezzi usati per sottrarsi al servizio militare (mutilazioni, pratiche superstiziose ecc.)?
2) Quali pratiche sono usate per preservarsi la vita durante la guerra? Vi sono persone ed oggetti che attirano i pericoli ed altri che li scongiurano? Quali?
3) Quali pratiche di medicina popolare sono usate dai soldati nelle malattie?
4) Vi sono mezzi non guerreschi per colpire il nemico e renderlo inoffensivo?
5) Vi sono segni (meteore, animali ecc.) che annunciano la vittoria, la fine della guerra?
6) Quali profezie di guerra riferiscono i vostri soldati?
7) Quali sono i canti dei vostri soldati?
8) Quali parole, modi dire, soprannomi usano?
(Gemelli, p. 11)
Gemelli si trova in zona di guerra e non dispone di tempo e testi sufficienti, tuttavia nella sua breve riflessione troviamo diversi elementi significativi: per giungere ad un’analisi fondata e oggettiva, lo psicologo italiano intendeva superare quel riduzionismo fisiologico che sempre di più dirigeva e caratterizzava lo sperimentalismo. Accogliendo istanze di carattere antropologico e filosofico, lo studio del folklore di guerra riportava la cultura e le sue espressioni al centro di un’indagine psicologica più completa ed efficace. Analizzare il cambiamento dei saperi popolari e la nascita di un humus atipico segnato dalla tragedia e confinato nelle trincee non era un aspetto accessorio bensì un elemento necessario per valutare scientificamente la psicologia del soldato.
Così, nonostante il fragore e l’agitazione suscitati dal conflitto, Gemelli riusciva ad affermare alcuni degli audaci propositi che avrebbero segnato le sorti di una psicologia sperimentale più matura ed ambiziosa.
Questo e molti altri documenti, a stampa o d’archivio, sono conservati oggi presso il centro di ricerca interdipartimentale ASPI – Archivio storico della psicologia italiana dell’Università degli studi di Milano – Bicocca. Per maggiori informazioni: http://www.aspi.unimib.it
Gemelli, A. (1917). Folklore di guerra: per uno studio sistematico della psicologia del soldato. Cusano Milanino: Colombo e figlio.
Leed, E.J. (1985). Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale. Bologna: Il Mulino.
Pogliano, C. (1986). La grande guerra e l’orologio della psiche. Belfagor, 46(4), 381-406.
Dario De Santis