L’OBIETTIVO È “FAR SBOCCIARE”, NON “BOCCIARE”. UN PROTOCOLLO OPERATIVO PER DOCENTI, PSICOLOGI, EDUCATORI, VOLONTARI E PER UVI TUTTA.

Alessandro D’Avenia è titolare della rubrica “Ultimo banco”, pubblicata ogni lunedì sul Corriere della Sera. Lo scorso 20 giugno 2022 l’intervento si intitola, appunto, “bocciare”. Ne sintetizziamo solo alcuni passaggi (lo spazio non ci consente di riprodurre tutto l’articolo, per altro di complessivo e piacevole interesse. A pagina 25, con un richiamo in prima).

Scrive D’Avenia:

«[…] Il “giudizio” è uno degli elementi più controproducenti del nostro sistema educativo. Ciascuno di noi forma l’immagine di se stesso per rispecchiamento: per tutta la vita cerchiamo di capire chi e come siamo da ciò che pensano gli altri di noi, ma soprattutto nella fase di formazione. I bambini giudicano se stessi “attraverso gli occhi” di genitori, famigliari e insegnanti; gli adolescenti aggiungono i propri pari […] Vorrei chiarire che non sostengo una scuola senza giudizi, ma senza giudici […] Se un insegnante dà a un ragazzo un voto basso ma gli dice “Abbiamo preso 4, cosa vogliamo fare ora? Proviamo a togliere questi errori insieme?” passa dal ruolo di giudice a quello di alleato, che non significa astenersi dal misurare i risultati, ma instaurare un sistema valutativo capace di progressione: se non riesce a trarre un miglioramento realmente radicato nello studente, la scuola è una presa in giro, che si limita a confermare chi è già bravo e lascia dov’è chi è indietro (cosa che purtroppo sta accadendo da anni […] Misurare è giusto e serve a capire dove l’allievo ha bisogno di supporto; giudicare, non l’operato ma la persona invece è contro producente: non aiuta a eliminare l’errore e genera una sofferenza che impedisce il miglioramento […] Io vorrei una scuola che si lasci alle spalle i giudici, non i giudizi, una scuola fatta di alleati e non di più o meno consapevoli accusatori, una scuola fatta di maestri con il cuore “forato” dall’unicità di ragazzi spesso incomprensibili solo perché la loro storia aspetta di essere raccontata nel modo giusto, ma noi adulti non dedichiamo abbastanza tempo e sforzi comuni per ascoltarla, perché siamo impegnati a compilare carte e a partecipare a riunioni superflue […] Spesso incontriamo studenti che ci sembrano un mistero ma è proprio a partire da quel mistero che poi sbocciano perché la loro unicità non riesce a fiorire nella ristretta cornice scolastica fatta di voti e di giudizi. Per questo nella scuola che vorrei i professori non dicono mai allo studente ti “bocciamo”, ma “sbocciamo?”. Come si fa con i fiori, anche quelli più fragili».

Chiosa ad uso di tutti coloro che vivono e fanno vivere l’UVI, con particolare riguardo alle attività “di sostegno” svolte nel tempo e nello spazio del “dopo scuola”.

La “scuola” precede il “dopo”. Ma che cosa vi accade? È simile alla scuola che vorrebbe D’Avenia? Abbiamo l’abitudine di chiedercelo? Abbiamo un’idea del materiale (contenuti e stili delle attività didattico-pedagogiche “pensate” e gestite dagli insegnanti) che si viene a costituire come base e premessa dei processi di apprendimento? Sarebbe importante conoscere le strategie adottate dal corpo insegnante e dalla direzione didattica. Il mondo scolastico è un mondo dove accade di tutto, nel bene e nel male. A volte, tuttavia, dimentichiamo che ogni docente (maestro o professore che sia) ha un’ampia libertà di scelta rispetto a come progettare, vivere e condurre le proprie lezioni. Di conseguenza, quando le cose non funzionano, una certa responsabilità il docente non può non assumersela.

Facciamo un esempio, tanto per capirci: ai bambini frequentanti la seconda classe di una scuola elementare, viene proposta una singolare lettura che riportiamo testualmente (libro di testo scelto, probabilmente, in una discussione tra colleghi).

PAROLA DI UN AMICO

Leggi la poesia

Parola di un amico/e sei subito ricco. / Esce dalla bocca/ che sfiora e non ti tocca. / Puoi credermi se dico / in questa filastrocca / che parola di un amico / non è per niente sciocca? / Che come un aquilone / dona qualche occasione? / Che è un vento silenzioso / nel cielo luminoso? / Da sempre lo stradico / che parola di un amico / è una mano che stringe / una faccia che non finge / un telefono che squilla / una nenia che ti culla / una pacca sulla spalla / un fremito di farfalla / Dell’amico una parola / ti difende e ti consola/ È una parola che dono a te / È una parola che doni a me  / Meglio se sono tre.

M.T. Rosu, Parole in rima, Aipsa Edizioni , s.d.,  In: Maria Rosa Benelli, un’estate in vacanza, 2, CETEM

Per un momento immaginate di essere nei panni di un bambino cui viene richiesto di comprendere e far proprio un simile testo, presentato addirittura come “poetico”. Non pensate che ciascuno di voi sarebbe in breve classificato (giudicato) come portatore di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento?

Ciò per dire che, a volte, i DSA, lungi dall’essere fragili e cognitivamente deboli, dimostrano viceversa una vivace e apprezzabile forma di resistenza a fronte di intrusioni del mondo adulto (adulterato) nella sfera della propria intimità esistenziale. Il “mistero” cui accenna D’Avenia. Test, questionari, modelli di valutazione oggettiva (su base psicometrica, neurologica, psicopatologica) tendono a “normalizzare” (cioè, appiattire, soffocare. Non a caso la curva “a campana” viene mitizzata…) spunti e lampi di quella creatività individuale che disturba e si contrappone ad ogni ordine e forma di programmazione didattico-istituzionale. La follia – e non è il caso di disturbare Franco Basaglia – rientra in questa forma di resistenza.

In ogni caso, viene da sé che ogni strumento ha una sua intrinseca validità, a condizione che si coniughi con l’auspicata capacità attitudinale  personale di ascoltare, interpretare e decodificare i segnali deboli che raccontano la storia misteriosa dei nostri più giovani compagni di viaggio.

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