Raccolgo volentieri l’invito di Silvio a riflettere su come gestire un primo colloquio con un ipotetico paziente che usufruisce del bonus psicologico.
«Dopo aver preso l’appuntamento, ecco che un cittadino chiede il vostro aiuto e si presenta con il suo bel bonus. In apertura del colloquio e quasi per presentare il proprio disagio, vi dice:
«Un immenso vuoto, un immenso vuoto: tutto è vuoto. Tutte le parole sono logore. Ho visto tutte le azioni fatte sotto il sole: ecco, tutto è vuoto e fame di vento. Ho in odio la vita: mi fa orrore. Più beato di tutti è chi non esiste ancora e non ha ancor visto tutto il male perpetrato sotto il sole».
E voi, come reagireste? Che cosa immaginate di potergli dire? Che stia attraversando una fase potentemente depressiva che potrebbe addirittura prefigurare un suicidio?»
Ecco quali sono i passaggi dell’intervento che effettuerei con il signore x:
- Chiederei il suo nome: forse risulta scontato ma chiamarlo per nome potrebbe aiutare a creare un’atmosfera di maggior empatia;
- Indagherei alcuni aspetti della sua vita: età, se e quale tipologia di lavoro svolge, con chi vive, se ha legami familiari, sentimentali o una rete sociale a cui far riferimento, se pratica qualche attività o sport, se possiede degli animali,…
- Raccoglierei informazioni sulla sua famiglia, magari utilizzando lo strumento del genogramma, e analizzare la sua storia pregressa (casi di lutto, suicidio, malattie, separazioni, dipendenze,…);
- Raccoglierei informazioni sulla sua storia pregressa e sul suo percorso di sviluppo in età evolutiva;
- Chiederei da quanto tempo sperimenta questo senso di vuoto, se lo sperimenta per tutto il giorno o se ci sono dei momenti in cui si sente più motivato e se prova interesse per qualche attività;
- Chiederei come sperimenta questo senso vuoto, se lo percepisce anche a livello fisico (ansia, dolore localizzato, vertigini o capogiri,…);
- Chiederei di specificare meglio le sue parole e di aiutarmi a dare un senso più preciso alle sue frasi che magari io potrei interpretare erroneamente (cosa significa “fame di vento”?);
- Proverei ad indagare possibili pensieri suicidari, analizzando però il clima che si è instaurato e valutando se sia opportuno avviare una conversazione sul tema del suicidio;
- Analizzerei il suo grado di motivazione, cosa si aspetta da me e cosa si aspetta di ottenere da un colloquio o da un percorso da uno psicologo, se è stato lui a rivolgersi volontariamente a me o se è stato inviato da qualcun altro: questi elementi aiutano a capire quanto il signor x si senta coinvolto e quanto possa essere collaborante (generalmente, chi si rivolge a uno psicologo su invio o costrizione di un’altra persona è poco propenso a lasciarsi coinvolgere e a credere che un’assistenza psicologica sia efficace).
Certamente un singolo incontro non sarebbe sufficiente per raccogliere tutte queste informazioni, probabilmente inviterei il signor x a prendere un ulteriore appuntamento. Terminata questa fase di indagine, raccolte tutte le informazioni necessarie, valuterei la possibilità di estendere l’intervento ad altre figure professionali o di coinvolgere una rete sociale: il caso richiede l’intervento di un neuropsichiatra che effettui una valutazione più approfondita? Potrebbe manifestarsi la necessità di far intervenire i servizi sociali? Posso sostenere da sola il percorso psicologico del signor x? Il quadro diagnostico mi sembra gestibile?
Insomma… è solo l’inizio!
ALICE ARATTI