Giorgio Caproni, poeta e maestro di scuola elementare, nasce a Livorno nel 1912 e muore a Roma nel 1990. Ha vissuto gran parte del suo tempo a Genova, dove ha svolto l’attività di maestro elementare. Alla sua morte sono stati rintracciati alcuni ultranovantenni scolari. Uno di questi ha raccontato:
«Certo che mi ricordo del maestro Caproni. Prima di tutto perché, quando noi bambini si arrivava in classe, lo si trovava in aula prima di noi. E poi, un giorno, lo vediamo tutto spettinato, che faceva strani conti con il gesso alla lavagna. “Buongiorno, signor maestro!”, gli diciamo. E lui, niente, non risponde. E noi insistiamo: “Buongiorno, signor maestro!”. Allora ci dice: “Silenzio, silenzio! State zitti e non disturbatemi. Ho un diavolo per capello. Il direttore vuole acquistare delle nuove lavagne e vuole sapere quanto misura l’area della nostra. Ma io non mi ricordo come si fa e se non gli dò una risposta, mi licenzia”. Noi bambini quasi urliamo: “Ma, maestro, lo sappiamo noi! L’area della lavagna, che è un rettangolo, si trova facendo base per altezza.”. E lui: “Perché?”
Una domanda radicale che l’ex scolaro ultranovantenne ricordava a distanza di molti decenni. Una domanda alla quale è facile immaginare che pochi sappiano rispondere.
Ma poi e ancora: che bello avere un maestro che, dopo il tempo trascorso in aula, se ne torna a casa per appuntare:
Le parole. Già.
Dissolvono l’oggetto.
Come la nebbia gli alberi,
il fiume, il traghetto.
Come dire: già, tutte le parole che ho insegnato e che desidero vengano imparate, non dissolvono – per caso – l’essenza vitale dell’essere nel mondo dei miei giovani compagni di viaggio?
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