“NON CE N’E’ DI COVID”: QUANDO E PERCHÉ CI SI RIFIUTA DI APRIRE LA PORTA ALLA REALTÀ CHE BUSSA ALL’USCIO DELLA NOSTRA MENTE.

DALLA NOSTRA INVIATA

Da circa un paio di mesi è diventato virale il video di una signora intervistata da una giornalista sul lungomare di Mondello: le viene chiesto se non ha un po’ paura di essere in spiaggia in mezzo a tutte quelle persone, senza mascherina e con il rischio di contrarre il virus, ma lei risponde in tono quasi scocciato che no, lì di Covid non ce n’è e che al massimo ci richiuderemo tutti in casa a settembre. A distanza di qualche settimana un’altra giornalista di un noto telegiornale intervista alcuni ragazzi italiani in vacanza in Croazia, appena fuori da un locale, e tra la folla si eleva la voce di una ragazza che dice “Qui di Covid non ce n’è!” forse pensando, erroneamente, di poter risultare ironica ripetendo le parole della signora di Mondello. La giornalista impietrita chiede alla ragazza se si sia resa conto di ciò che ha appena detto e lei senza esitazione dichiara di rendersene perfettamente conto.

L’episodio si potrebbe commentare con le solite e banali accuse ai giovani, incolpandoli di non avere più valori, di pensare solo al divertimento e di non essere abbastanza maturi e responsabili, ma stavolta viene chiamata in causa anche una donna adulta che per prima nega la presenza del virus. Ecco che non si tratta quindi di un problema legato ai giovani bensì di un problema più profondo, radicato nell’essere umano. Se da un lato è vero che probabilmente nelle regioni del sud Italia, a causa dei contagi di numero inferiore, il periodo di lockdown non sia stato vissuto con la stessa drammaticità che ha caratterizzato la Lombardia e le altre regioni del settentrione, dall’altro è vero anche che i negazionisti del Covid sono assai numerosi pure al nord, con casi di manifestazioni che si dispiegano fino in Germania. Ma perché negare l’esistenza di qualcosa che è realmente accaduto e di cui abbiamo costantemente la prova? È davvero solo una questione di ignoranza?

Nel corso della storia i fenomeni di negazionismo sono stati molteplici, uno fra tutti la convinzione che l’olocausto subito dagli Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale non sia mai esistito. Una spiegazione plausibile può essere rintracciata negli studi di psicologia che si occupano di analizzare le strategie di coping: per strategie di coping si intendono tutte le modalità attraverso cui una persona si adopera per affrontare un problema e per adattarsi ad una situazione che sconvolge il suo equilibrio quotidiano; ciò può avvenire attuando strategie funzionali oppure disfunzionali, che si rivelano utili oppure dannose. Facendo riferimento al COPE-NVI, una scala di validazione italiana utilizzata per valutare le strategie di coping attuate dagli individui (Sica et al., 2008), possiamo identificare cinque diverse modalità:  

  • Sostegno sociale, che riguarda la ricerca di comprensione, la ricerca di informazioni circa la situazione che l’individuo si trova ad affrontare e la possibilità di sfogo emotivo con persone vicine;
  • Strategie di evitamento, identificate in tutte le forme di utilizzo di negazione e associate spesso a uso di sostanze, distacco comportamentale e mentale;
  • Attitudine positiva, ovvero un atteggiamento di accettazione, contenimento e reinterpretazione positiva degli eventi;
  • Orientamento al problema, che consiste nella capacità di utilizzo di strategie attive e di pianificazione di una soluzione al problema;
  • Orientamento trascendente, in riferimento a tutti i comportamenti che esprimono affidamento alla religione e incapacità di ridere del problema con assenza di umorismo.

Nello specifico, alcuni item che compongono la sottoscala del COPE-NVI relativa alle strategie di evitamento recitano: “Mi rifiuto di credere che ciò sia accaduto”, “Faccio finta che ciò non sia veramente accaduto”, “Mi comporto come se ciò non fosse mai accaduto”. Tutte frasi che sembrano rappresentare bene le dichiarazioni fatte dalla signora di Mondello e dalla ragazza in vacanza in Croazia. Si potrebbe pensare, quindi, che chi continua a negare la presenza dell’attuale Covid-19, chi non rispetta le regole ed è contrariato dalla chiusura di discoteche e di altri luoghi pubblici, chi si rifiuta di indossare la mascherina perché non c’è pericolo, forse sta solo attuando una strategia di evitamento: piuttosto che accettare la realtà, piuttosto che pensare a una futura quarantena che potrebbe nuovamente esserci imposta e che indubbiamente ha lasciato evidenti segni di disagio psicologico in molte persone, piuttosto che ammettere che un minuscolo virus invisibile stia generando tante difficoltà e tanto dolore, ecco che entra in gioco il meccanismo della negazione, ovvero negare una condizione di disagio e di potenziale stress per paura di non essere in grado di affrontarla, per paura di soffrire e di ammettere a se stessi che la vita purtroppo non è sempre facile e rosea come vorremmo che fosse. È chiaro che questa strategia di coping risulta essere fortemente disfunzionale, poiché prima o poi bisogna affrontare la realtà e continuare a negarla può condurci ad uno stato di totale impreparazione alle conseguenze negative. Forse, assumere questa prospettiva può aiutare a comprendere il motivo per cui molte persone continuano a vivere la loro vita normalmente, come se nulla fosse mai accaduto: non si tratta sempre e solo di ignoranza né di egoismo ma di una questione molto più profonda, ovvero il bisogno di benessere e di felicità, di assenza di problemi, la fuga da ciò che non ci piace e che ci fa soffrire. Un punto di vista nuovo, che potrebbe conviverci a sostituire gli aggressivi dibattiti televisivi e le continue manifestazioni di odio e indignazione reale e virtuale con atteggiamenti più comprensivi e con l’impegno al dialogo, soprattutto tra i giovani. Un punto di vista che ci fa capire che chi non porta la mascherina non è cattivo, ma è solo spaventato e che in fondo, parafrasando Hannah Arendt, il male è solo una questione di banalità.

ALICE ARATTI

3 Replies to ““NON CE N’E’ DI COVID”: QUANDO E PERCHÉ CI SI RIFIUTA DI APRIRE LA PORTA ALLA REALTÀ CHE BUSSA ALL’USCIO DELLA NOSTRA MENTE.”

  1. Purtroppo sono assolutamente d’accordo con te! Trovo che sia il meccanismo di difeso più utilizzato da sempre. Negare la realtà che fa paura adottando comportamenti irrazionali sembra essere una prerogativa umana .
    La paura gioca un ruolo determinante a cui dovremmo tutti opporre seriamente la virtù impopolare quanto preziosa del coraggio.

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