Scrive Roberto Merlo: «L’inclusione di tanti Pinocchi, se Pinocchio è una metafora dei ragazzi che sono esclusi per i più svariati motivi dagli ordinari processi di inclusione sociale o di quelli che ne sono esclusi perché definiti devianti, ha implicato un profondo ripensamento dei paradigmi e delle prassi tutt’ora in gran voga e una loro profonda messa in discussione alla luce delle attuali conoscenze scientifiche in campoi psicologico, antropologico e sociologico.
Devono essere “messe in crisi” le varie fate turchine e i vari grilli parlanti che presidiavano l’inclusione sociale: non esiste nessun “modello unico” di inclusione sociale, come non esiste l’inclusione perfetta. La logica “se diamo un lavoro e la casa produciamo inclusione” è, a voler usare parole molto gentili e educate, una cretinata!».
Il succedersi argomentativo a sostegno della sue tesi, Merlo lo svolge in una decina di pagine nel volume “Donatella Cavanna – Alessandro Salvini (a cura di), Per una psicologia dell’agire umano, Milano, Angeli, 2010.
Fate turchine, grilli parlanti e bacchette magiche non fanno parte del contesto storico-sociale che ha determinato lo stato soggettivo di quell’essere nel mondo definito stereotipatamene come deviato e deviante. E’ un po’ anche l’opinione di Giorgio Caproni: «Se non sono assassino o ladrone è – semplicemente – perché non ne ho avuto l’occasione».
Chi si occupa, a vario titolo, di inclusione cosiddetta sociale, potrebbe senz’altro trarre spunti interessanti dall’ascolto del ragionare di Roberto Merlo.
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Che bello ogni tanto ricordare a noi stessi che anche i Pinocchi hanno qualcosa da insegnarci e che noi tutti educatori non abbiamo solo il compito di “ripararli” ma anche e soprattutto di imparare e di farci riparare da loro!
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