ASCOLTARE IL BAMBINO CHE SENTE ANCHE SE NON SENTE

Cristina Fratto, dal laboratorio di didattica e pedagogia attiva dove conduce la propria attività di insegnante, ci rende partecipi della riflessione che ha avuto modo di svolgere a proposito del bambini non udenti. La fotografia della situazione di cui ha avuto diretta esperienza, mostra come, a volte, la condizione di sordità viene considerata definitiva e non superabile. Al contrario, anche per la sordità profonda, ricerca e tecnologia hanno fattO passi avanti giungendo a proporre interventi che, soprattutto in epoca infantile, si sono e si stanno dimostrando di una certa efficacia. Ma la descrizione di Cristina pone in luce il dato principale: la famiglia in qualche caso tende a considerare la situazione del figlio non udente quasi fosse una disgrazia, una sfortuna che non è possibile contrastare.

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Nella scuola in cui ho insegnato durante quest’anno scolastico sono stata inserita in una classe in cui avevo un alunno non udente, e ciò mi ha portato a riflettere, perché ho sempre più la conferma di quanto possa essere diverso studiare un qualsiasi argomento su un manuale, rispetto a viverlo, ad entrare in contatto con la realtà, quella vera, che non si può descrivere tra le righe di un libro.

Ho visto due occhi che consideravano la propria situazione più negativamente di quanto la stessa non venga considerata dagli udenti e ho pensato che ciò possa essere dovuto al carattere ma anche al contesto nel quale ci si forma, alla famiglia, alla scuola che deve adottare strategie per incrementare la stima di sé.

Certamente la strategia più adeguata dovrebbe avere come obiettivo la completa accettazione del bambino e della sua condizione di sordità. Forse l’elemento chiave affinché ciò avvenga potrebbe essere la facilitazione della comunicazione intesa in senso ampio. Qui la famiglia potrebbe avere un ruolo fondamentale, facendo in modo che il bambino sin dai primi mesi di vita apprenda il linguaggio, ponendo sempre su uno stesso piano di rilevanza la lingua parlata e la lingua dei segni.

Vi sono famiglie dove i genitori cercano di negare la sordità del figlio, addirittura vietando il linguaggio dei segni, e ciò può avere effetti negativi nella strutturazione della propria identità. Quando invece i genitori comunicano attraverso tutti i mezzi possibili, creano effetti positivi nella comunicazione ed impediscono che il figlio provi sentimenti di frustrazione.

Prima però di questi interventi, credo sia necessario riflettere su un momento che per i genitori è particolarmente critico: la comunicazione della diagnosi di sordità. La reazione potrebbe essere caratterizzata da una parte da sentimenti di sconforto e di impotenza, pur volendo essere sempre più informati in modo da poter essere d’aiuto per il bambino. L’atteggiamento potrebbe essere finalizzato principalmente a promuovere la capacità di socializzazione. Particolarmente importante è la tempestività della diagnosi, da un lato per adeguati interventi informativi e dall’altro per la necessità di formare adeguatamente i genitori nella loro funzione.

Soprattutto la madre ha espresso il sentimento di paura che ha caratterizzato gli anni successivi alla diagnosi per la preoccupazione che potesse nascere un altro figlio con problemi di sordità, ma anche la tranquillità sul futuro professionale in quanto i genitori ritengono che la sordità non costituisca un impedimento.

Il processo di integrazione avviene anche grazie alla figura dell’insegnante di sostegno che tratta il bambino in modo assolutamente normale e ciò favorisce anche relazioni positive con i compagni di classe.  È importante anche la partecipazione ad attività extrascolastiche, ludiche e non. Vi è stato un rifiuto per la frequenza a gruppi organizzati con famiglia che condividono la stessa situazione. Ciò può essere dovuto ad un duplice motivo: non chiudere il proprio figlio all’interno di una ristretta cerchia di persone, ma anche un rifiuto della realtà.

CRISTINA FRATTO

2 Replies to “ASCOLTARE IL BAMBINO CHE SENTE ANCHE SE NON SENTE”

  1. Quest’articolo decisamente incoraggiante e per il quale vi ringrazio mi ha sollecitato una riflessione collaterale a partire dal titolo: “ascoltare i bambini che sentono anche quando non sentono “. Lo vediamo spesso anche nel nostro lavoro di volontari e operatori a stretto contatto con loro. I bambini sembrano distratti o concentrati sulle loro azioni e gli adulti parlano di loro convinti di non essere ascoltati; niente di più sbagliato. I bambini sentono più di quel che crediamo e se quello che sentono non tiene conto della loro sensibilità e dei loro bisogni, facilmente facciamo loro del male.

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