Con l’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915, Giuseppe Ungaretti è chiamato alle armi e viene inviato sul Carso come soldato semplice del 19° Battaglione di Fanteria. Nello zaino aveva senz’altro la capacità poetica di ascoltare e di ascoltarsi. Ed è una capacità che il tempo dilatato, la pausa obbligata di questo periodo di quarantena, valorizza, scoprendola negli anfratti dell’abituale vivere a tentoni. Nelle nostre trincee abitative non possiamo più distrarci: siamo obbligati a pensare, arredando di sogni la mente.
Le parole potrebbero venire a mancarci, quando il dolore di una perdita ci colpisce a tradimento. E potremmo non avere parole per raccontare e dire di noi e degli altri, in questa come in altre occasioni di una vita che scorre.
I poeti sono operai di sogni che sanno come tradurre in parole i sentimenti. Il silenzio della solitudine, indotto dalla necessità del distanziamento sociale con annessi e connessi, può essere occupato dall’operosa e silente capacità di ascolto, soprattutto di noi stessi, dei nostri pensieri, delle nostre emozioni. E in questo di grande aiuto ci saranno bambini e bambine, a condizione che si eviti di saturarne lo spazio di vita con una serie di attività proposte per ingannare il tempo. Bisogna viceversa lasciar loro la possibilità di porsi e porre domande.
Le parole sono lo strumento del poeta e un po’ poeti lo siamo tutti; se non lo fossimo non potremmo vivere l’avventura del vivere. Facciamo qualche esempio, a partire dalla voce scritta di Ungaretti.
Le molte migliaia di persone che hanno perduto un affetto senza neppure potere salutarlo, tenerlo per mano, sorridergli, confortarlo, è probabile e naturale che abbiano avuto l’impressione di essere in “UNO STAGNO DI BUIO”, per poi “UBRIACARSI DI UNIVERSO”.
L’elaborare un lutto, una perdita, una sconfitta, richiede fatica e sofferenza, che tuttavia deve essere temporanea. Ecco allora che, se “UN GROVIGLIO DI GRILLI S’ACCOMPAGNA ALLA SOLITUDINE”, il cammino può essere ripreso con passo sicuro e certo. La solitudine è al riguardo il concetto chiave ma per poterne interpretare le potenzialità bisogna disporre degli attrezzi culturali di base, attrezzi e strumenti che si acquisiscono con la lettura. Non ci sono alternative. E allora, “educando” bambini e ragazzi, bisogna che piano piano e con le opportune modalità ludiche, il libro assuma le sembianze di un amico fidato al quale di tanto in tanto con-fidarsi. I libri non devono essere studiati ma vissuti e quanto mai lontana dev’essere l’abitudine di interrogare, per capire se il libro è stato capito.
Educatori, educatrici, volontari e volontarie costituiscono la brigata (che non può essere che gioiosa) impegnata quotidianamente nel tentativo di migliorare la qualità della vita, propria e altrui. E in questo percorso occorre lasciare che siano i bambini ad essere i nostri maestri, cogliendo il tempo opportuno per questa trasfusione di sapere e conoscenza (i bambini sanno e conoscono). Qualsiasi programma o progetto didattico-educativo sarà destinato al fallimento se non vi saranno pienamente coinvolti bambini e ragazzi. Riuscire “A CONTEMPLARE L’ILLUMINATO SILENZIO DI UNA RAGAZZA TENUE” diventa, per questo aspetto, un passaggio fondamentale.
Non una guerra (tanto siamo destinati a perderla, con questo o con un altro, futuro e ancora diverso virus) ma piuttosto facendo nostre nuove modalità di comportamento e di socializzazione. Bisogna rifondare creativamente un po’ tutto. Le abitudini consolidate vanno abbandonate, anche nella dimensione economica e produttiva.
L’augurio per tutti coloro che operano nel settore educativo è che possano ILLUMINARSI D’IMMENSO.
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Semplicemente magistrale. Grazie per questo stimolo poetico alla lettura.
Possiamo davvero cambiare il mondo se ci nutriamo di cultura. I sogni diventano realtà anche grazie alla conoscenza e alla sapienza, due doni che possiamo e dobbiamo tornare a coltivare seriamente.
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