Alice Aratti – che ringraziamo – sottolinea l’interesse della puntata di “Quante Storie” andata in onda qualche giorno fa su RAI3. Titolo della puntata: “Il silenzio degli innocenti. Le nuove generazioni e l’esperienza del Corona virus”. Giorgio Zanchini, il conduttore, ha dialogato – per circa una mezz’ora – con Corrado Augias, Annalisa Perino (pedagogista) e Matteo Lancini (psicologo e psicoterapeuta). Può essere scaricata dal sito di RAI3.
Cogliamo l’occasione per invitare coloro che fossero interessati, a seguire le puntate quotidiane di “Quante Storie” (in onda su RAI3 alle 13.30) e “Maestri”, in onda sempre su RAI3, alle 15.20 all’interno del progetto “La scuola non si ferma”.
In apertura della puntata viene trasmesso il breve messaggio che Sergio Mattarella ha inviato ai giovani:
«Le scuole chiuse sono una ferita per tutti. La scuola non è solo il luogo dell’apprendimento, è anche la fondamentale dimensione della socializzazione di bambini e ragazzi. L’attuale, forzato isolamento impedisce l’esercizio della libertà implicito nell’andare a scuola. E, forse, vi fa capire quando sia bello uscire di casa e andare a scuola».
Annalisa Perino è autrice del testo “Bambini a casa e felici. Le attività Montessori – Longanesi”; Matteo Lancini ha pubblicato “Cosa serve ai nostri ragazzi – UTET”.
I temi affrontati e discussi rientrano a pieno titolo nella sfera di interesse di chiunque si occupa di educazione. Nel contesto UVI, in primis, educatrici, coordinatrici, volontari e volontarie. Ma anche genitori (madri, padri, nonni e nonne). Si discorre degli “innocenti”, bambine e bambini dei quali non si fa quasi cenno nelle analisi dei “tecnici” e nelle decisioni che governo e regioni hanno adottato e adottano in base alle informazioni e ai “consigli” forniti dalle squadre di virologi.
Corrado Augias precisa, in affettuoso e circoscritto dissenso, che la mancanza di attenzione all’infanzia è stata la conseguenza del dramma che ha investito gli anziani, prime e principali vittime dell’epidemia. Loro sono state le vittime perché più fragili.
“Ma ai bambini, che cosa è successo?”
«E’ un momento di crisi ma una crisi ci può migliorare. Il tempo di sospensione, di isolamento, rende possibile lo sviluppo di un’attenzione maggiore al dettaglio», risponde Annalisa Perino
“E i ragazzi, che cosa dicono?”
«Sono affaticati ma dimostrano una grande responsabilità. Sono molto legati ai nonni; ho incontrato ragazzi che si sono tatuati con la data di nascita e di morte dei nonni. Il rapporto adulti / adolescenti dovrebbe comportare meno controllo e maggior relazione», riferisce Matteo Lancini.
Corrado Augias: «Ai bambini mancano gli amici e il contatto fisico. La scuola è soprattutto strumento di socialità. Ma la sofferenza e la solitudine a volte giova. L’ho sperimentato io stesso, da bambino: soffrivo la solitudine, durante la guerra, ma io ho potuto leggere molto».
«Il più delle volte vengono sottovalutate le capacità dei bambini di trovare soluzioni creative. Occorre utilizzare il tempo dilatato per favorire, nel bambino, il porre e il porsi delle domande. Anche con bambini molto piccoli. Non si tenda a saturare il tempo del bambino con un’infinita antologia di attività. Bisogna poi scoprire il tempo positivo della noia», è il suggerimento pratico di Annalisa Perino.
E Matteo Lancini: «Il tempo della noia e le nuove tecnologie. Ma la noia è soprattutto riempita dall’ansia dei genitori. Con le nuove tecnologie bisogna comunque accettare il senso della solitudine».
“Riflettere su se stessi è un buon esercizio per l’anima»: è la considerazione di uno dei ragazzi intervistati.
Il breve video trasmesso con le interviste a un gruppo di ragazzi e ragazze, viene commentato da Corrado Augias: “Quelle che abbiamo ascoltato sono le testimonianze – bellissime – di ragazzi della borghesia colta. Sono nati e hanno vissuto in famiglie dove ci sono i libri. Mi chiedo che cosa succede nelle case di famiglie meno fortunate, con genitori non molto capaci di parlare. In questo caso la solitudine assume connotati negativi, considerando anche l’assenza di strumenti informatici”.
“In ciascuna casa, comunque, si possono trovare delle soluzioni. L’importante è viversi come comunità, quindi con compiti e doveri; anche i bambini più piccoli possono essere responsabilizzati, a prescindere dalla classe sociale e dallo status socio economico”, suggerisce Annalisa Perino.
Matteo Lancini riflette sull’importanza del contesto, sottolineando che il principale problema della scuola di oggi è la dispersione scolastica: l’obiettivo dovrebbe essere quello di non perdere neppure un allievo. E al riguardo bisognerebbe educare e educarsi all’incontro con le diversità. Internet gioca al riguardo un ruolo rilevante.
“Ma l’uso della Rete – annota Augias – contiene un paradosso: si è soli in compagnia. Ci si scrive, ci si ascolta, ci si vede ma manca il contatto fisico. Si tratta di un’assoluta novità: cambierà l’antropologia e il nostro modo di rapportarci agli altri”.
Sempre secondo Augias, ci troviamo di fronte al Dilemma del Diavolo: qualsiasi decisione venga presa, sarà un errore.
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Condivido il dramma tanto silenzioso quanto surreale che tutti i nostri bimbi e ragazzi si sono trovati loro malgrado a vivere da un giorno all’altro, chiusi in casa da un giorno all’altro, senza preavviso e possibilità di dovuti saluti. Mi piace però riflettere su come, perfino in questo contesto, la soluzione, come proposta da Annalisa Perrino, sia comunque quella di costruire una comunità in cui ognuno possa dare il suo contributo, opportunamente declinato, anche nelle nostre case. Mi auguro possa essere questa comunità riscoperta che riporti un po’ di luce!
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Testimonianza molto forte. A volte per capire le necessità di un bambino bisognerebbe guardare e sentire con i suoi sensi dimenticandoci spesso, da adulti, i bambini che siamo stati.
La scuola è il primo laboratorio sociale per i bambini. È li che imparano a crescere, confrontarsi e a maturare nel processo di individuazione-separazione dal nucleo familiare. Diventa fondamentale quindi ricostruire la vita a scuola, anche se questo richiederà superamento di abitudini e confini ben radicati nella nostra cultura occidentale.
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