Antonio Viscardi risponde all’anonimo, cortese testimone che ha scritto la lettera dalla RSA che abbiamo pubblicato un paio di giorni orsono.
Righe di congedo scritte sapendo che il Nobile Signore sarebbe venuto a fargli visita entro pochi giorni. Questa consapevolezza gli ha concesso di descrivere con lucidità la propria condizione di “recluso”, privato soprattutto dei propri affetti famigliari e della propria dignità di uomo. Il che apre due ulteriori ordini di riflessione: la solitudine affettiva e il ruolo giocato (o che dovrebbe essere giocato) dalla psicologia. Antonio Viscardi, di questi e di altri argomenti, ne discorre con il suo e nostro interlocutore.
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«Caro Luigi, ti ho dato il nome di mio nonno non conoscendo il tuo, le tue parole risuonano nel mio cuore. Nessuno merita di intraprendere l’ultimo viaggio senza la vicinanza dei propri affetti, e quando accade non si può accettare e dobbiamo urlare con forza tutto il nostro dolore e risentimento. Ma, Caro Luigi, qualcuno avrebbe dovuto dirti che non sei un “numeretto”, che la vita non perde valore con l’avanzare dell’età, ma nessuno te l’ha detto e così sei andato via portandoti dietro anche questa convinzione. Scrivi di non cercare vendetta, ma anche qui qualcuno avrebbe potuto aiutarti ad accettare anche il desiderio di rivincita, essere socio-culturalmente adattivi non deve passare per forza per la strada della misericordia; dentro abbiamo tormente emotive e faremmo bene ad ascoltarle e accettarle senza rifuggerle. Ma anche questo nessuno ha potuto spiegartelo. Sai, Luigi, in realtà nella tua lettera una rivincita e vendetta te la sei presa, ma hai scelto un nemico che forse non hai conosciuto veramente. Se ritieni che la Psicologia abbia fatto in decenni danni irreparabili, da addetto ai lavori, devo chiederti scusa. Scusa perché non abbiamo saputo mostrarti che siamo sempre stati al tuo fianco. Nelle aule di tribunale, durante le tue arringhe, quando cercavi dentro di te le energie sappi che noi c’eravamo, la Psicologia c’era. C’eravamo anche nel momento in cui hai preso in mano la penna e hai scritto queste parole, la Psicologia c’era. Vedi, caro Luigi, la Psicologia c’è sempre in ogni cosa che facciamo, la nostra colpa di Psicologi è che l’abbiamo medicalizzata e la presentiamo sempre in maniera errata. Tu hai avuto, seppur inconsapevole, la fortuna di averla incontrata più volte nella tua vita e magari la “scorbutica urlante infermiera” non ha avuto la stessa fortuna. Lei la Psicologia non l’ha mai incontrata. Ma, Luigi, non posso biasimarti per le tue parole, noi lavoriamo senza stare sotto i riflettori, noi viviamo e dedichiamo la nostra vita affinché le persone abbiano la possibilità di vivere la propria consapevolezza e non ci serve un Grazie. A noi basta leggere storie come la tua e di quanto sei riuscito ad essere forte e dare forza a chi ti vuole bene, per essere fieri del lavoro che facciamo, e se lassù avrai ancora bisogno di Lei, la Psicologia silente sarà al tuo fianco. Che la terra ti sia lieve, Luigi».
ANTONIO VISCARDI
Una stupenda risposta, realistica soprattutto.
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