Burkina Faso. Diario dell’ascolto e dell’azione solidale. 4/7: ultime dalla scuola. Angurie e malaria.

Seduto all’ombra, sul lato nord della nostra camera, osservo ammirato Cristina intenta a controllare, correggere, completare per la 50esima volta l’elenco dei 50 “Aiuti scolastici”: con un lavoro “mostruoso” è riuscita a mettere ordine in una lista di decine di cognomi e nomi spesso uguali; ad affiancare a ogni nome l’esatta posizione scolastica ( in quale scuola, in quale classe/livello), e a completare le fiches (schede ) che lasceremo a s. Suellen dopo averle fotografate allegandole alla foto di ciascun allievo. Sono sinceramente ammirato per la pignoleria, la capacità di concentrarsi e l’ottimismo dimostrati da mia moglie. Abbiamo ritrovato 3 ragazzini (che non risultavano più nella scuola del primo elenco) ascoltando loro amici che ci informavano che il “disertore” era stato trasferito in un’altra delle 7 scuole nelle quali aiutiamo i giovani burkinabè. Per non parlare della ricerca per l’acquisto di libri, quaderni e zainetti richiesti dagli insegnanti, e della consegna ad ogni scuola: “Dinamite “potrebbe portarci a Yassù, a Tansengà, al Centre A, alla Scuola Cattolica, da solo, autonomamente, senza la mia guida (come avrebbe fatto il vero Dinamite). Ieri e oggi il Gran Finale, con “botto”: sentita la madre di Soumail ( già noto come “Bruttone”), e ascoltato il pargolo- 7 anni- abbiamo deciso di provarci: a settembre gli pagheremo la scuola. Quindi, siamo a 51 ( 2 anni fa erano un terzo), 51 minori ai quali diamo una possibilità in più; ma non voglio ripetermi: ci siamo capiti. E invece mi ripeto: dannazione ( come direbbe Tex Willer): com’è possibile rinunciare alla scuola- refezione compresa- perché 5 euro al mese sono troppi!?*@**§+* ( censura) Tra pochi giorni saluteremo e torneremo tra i nati “on the sunny side of the street” ( Louis Armstrong), e il saluto sarà reso ancor più duro dalla mancanza della possibilità di un collegamento diretto con loro. Io che non sopporto i video con WApp, io che detesto l’indigestione di “selfie”cui assisto quotidianamente a Milano, salutando questi bimbi sento che darei non so cosa per avere un efficiente collegamento internet con loro, per ricevere qualche loro “selfie”, per ricordare più facilmente l’espressione con cui ognuno di loro ci ha accolto e salutato. OK: contiamo sugli aggiornamenti che Suellen saprà inviarci e sulla nostra “memoria del cuore”. Smetto di osservare Cris perché un rumore davanti a me richiama la mia attenzione: capre e pecore stanno brucando sull’aia , a pochi metri . E mi riprende l’angoscia: ma cosa cavolo riescono a “brucare”? Davanti alle loro bocche vedo solo sabbia e argilla: non un filo di paglia,non un filo d’erba. Eppure … brucano! Sarei quasi tentato di afferrarne una, aprirle a forza la bocca, e dirle “ Sputa!, fammi vedere..” E dietro di loro arrivano i polli coi pulcini, che beccano qualcosa nella terra rimossa dagli zoccoli..: ma cosa? Ho detto “angoscia”: angoscia perché, osservando la quotidiana lotta per il cibo di questi ovini, Il mio pensiero corre ineluttabilmente alla stessa lotta che impegna centinaia di donne, centinaia di madri come quella ( quelle) che incrociamo nei nostri pellegrinaggi nella savana. A lato della pista, dove non vediamo passare nessuno, sotto un alberello , all’improvviso ecco una giovane con (almeno) un bimbo sul dorso. Vende qualcosa: quattro frittelle, forse qualche pezzo di sapone…; finalmente: qualche anguria. Contrattiamo sul prezzo-ovviamente al rialzo- e la convinciamo che 300 Franchi CFA- quasi mezzo euro- per un’anguria di 3-4 Kg. non sono un furto; ma..arieccolo il solito ,maledetto “ma”! Ma, appena ripartiti, mi torna alla mente un dato: la cura completa di un attacco di malaria ( visita, flebo e ricovero per una notte) costa 15000 Fr CFA ( 23 Euro). Ed ecco il facile problemino: quante angurie deve vendere la giovane mamma per pagare una cura della malaria ( attenzione: una di tante possibili/ sicure ricadute)?. 15.000 (costo di un ciclo di cura) diviso per 150 (costo sul mercato di un’anguria di 3 kg) uguale 100. Soluzione A: la signora, per pagarsi le cure per 1 (uno) attacco di malaria, deve vendere ( là, lungo un sentiero , dove qualcuno passerà) 3 quintali di angurie ( 100 angurie), purché le abbia prodotte lei a “costo zero”( cioè: Spesa= zero; Ricavo = Guadagno). Soluzione B: non c’è soluzione: la mamma si farà l’attacco di malaria standosene una settimana sdraiata febbricitante, ringraziando (anche!!) il suo Dio che l’attacco non abbia colpito il bimbo, con conseguenze spesso letali. A questo punto vi starete chiedendo se la vittima dell’attacco non sia il sottoscritto ( i più benevoli tra di voi: gli altri si staranno chiedendo cosa abbia fumato). Rilassatevi, sto bene; e, ripensando alla mia “curiosità”, mi sorride l’idea di fare scrivere sulla cassettina delle mie ceneri ( “adasi, adasi, tant gh’è temp..”, come cantavano Svampa e Brassens): “E’ quel che resta di Renato, che si domandò a quante angurie equivalesse una cura della malaria”. Bellissimo epitaffio. Ma , ora: “Oh Freunde, nicht diese tone!” ( Amici, non questo tono”: Beethoven, 9° Sinfonia; ma non trovo la dieresi da mettere sulla O). Insomma, cambiamo tono, e … torniamo a pozzi e capre. Con Clement siamo corsi al pozzo di Gardeballe appena terminato. Inchiodata la placca metallica che vi ricorda come donatori ( inchiodata con una certa apprensione: vi immaginate se, sotto le mie imprecise martellate, il muretto di protezione fosse crollato nel pozzo..? Fantozzi docet..); ascoltato con sempre emozionato rispetto il ringraziamento del Capovillaggio, ho risposto con l’ormai noto “ Porteremo ai nostri amici il vostro ringraziamento; ma ricordatevi che i pozzi, l’acqua sono un vostro DIRITTO, ed è un DOVERE nostro, di noi “bianchi” aiutarvi ad realizzarli.” Applausi sinceri, ed ennesimo groppo alla gola ( poi mi sono accorto che, per caso, indossavo la maglietta con l’effige di Thomas Sankarà, il burkinabè “Che Guevara africano”). Da Gardeballe, in mezz’ora- sempre sul Pick-up – abbiamo raggiunto BouGou: lì il pozzo non era ancora completato; ma mancavano poche ore di lavoro, solo il muretto di protezione (sicuramente ora è terminato). Breve saluto e strette di mano (la targa la metteranno loro: un rischio in meno): cerimonia breve, ma grande soddisfazione perché questo è il secondo pozzo che finanziamo a Bougou; ed è quel pozzo che abbiamo promesso meno di 3 settimane fa, il 4, durante la visita al primo pozzo realizzato a BouGou ( vedi la mia “Burkina 4/5). Visto, promesso, fatto: non male! Tornati chez-nous, io e Cris siamo andati, sul nostro fedele Dinamite, ad acquistare il pane: quindi abbiamo fatto sosta alla “Gazzelle” per una bevuta, lasciando il pane ancora caldo nella bisaccia appesa al collo di Dinamite, tanto qui nessuno ruba. Vero: ma dopo dieci minuti una ragazza ci ha chiamati allarmata: “ Messieur, buu-sé!”( Buu-sé: capre; sing.: Buu-gà). Due capre stavano pasteggiando, col muso nella bisaccia, col nostro pane. Sorry, ma proprio non riesco ad arrabbiarmi con questo animale: le ho lasciate finire, e sono corso ad acquistare altro pane. Col nuovo parroco di Yalgò, Silvère, abbiamo visitato l’ultimo pozzo, a Taparkò. Scavi ancora in corso, e finalmente, a 21 metri, comincia a filtrare l’acqua: il pozzo è più largo degli altri ( 170 cm di diametro invece di 130) e, riempiendosi, garantirà acqua abbondante. Durante il rientro, don Silvère, a seguito di una telefonata drammatica ci ha raccontato che due gemelle di 18 anni affidate allo zio dopo la morte del padre, rischiavano di essere ritirate dalla “ seconda liceo” che frequentano con profitto: lo zio non può più pagar loro la scuola, quindi (sic!) intende “donarle” come mogli. **++**% (CENSURA). Avevamo ancora 130 euro, che pensavamo di dedicare al tradizionale acquisto di un asinello, un rito quasi scaramantico che ha concluso le nostre visite precedenti : invece, niente asinello ( non siamo superstiziosi) e 2 aiuti scolastici in più. Per completare l’intensissima giornata, cena di addio al ristorante La Gazzelle con suore e parroco con vice: gli africani si sono sbellicati dalle risate ascoltando la mia versione in francese della storiella che mi raccontava Enrico, vecchio compagno di scuola: “Razzista?! Io non sono razzista: è lui che è nero! “. Poi è venuto il giorno della lacrime, l’ultimo qui a Yalgò; ma di questo diremo nella prossima e ultima. A prestissimo.
Renato e Cristina
PS: di notte è tornato il freddo: all’alba 12 °C, il che mette in difficoltà la maggioranza delle famiglie, non attrezzate per queste temperature.

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