La conquista della 5° c

[…]
Avevo vent’anni quando, tenendo nella tasca del petto la lettera di nomina a maestro provvisorio, e sopra la tasca la mano, forte forte, tanta era la paura di perderla, chiesi del Direttore.
Il cuore mi faceva sbalzi enormi.
– Chi sei? – mi domandò la segretaria.
– So…Sono il nuovo maestro… – dissi, e le feci vedere la lettera.
Il Direttore mi vide, si mise le mani nei capelli.
– Ma che fanno – gridò – al Provveditorato? Mi mandano un ragazzino quando ho bisogno di un uomo con grinta, baffi e barba da Mangiafoco, capace di mettere finalmente a posto quei quaranta diavoli scatenati! Questo appena lo vedono se lo mangiano!…
Poi, battendomi una mano sulla spalla:
– Avete vent’anni? – disse. – Ma ne dimostrate sedici. Questo mi preoccupa molto.
Che Iddio ce la mandi buona! – Esclamò il Direttore.
Mi guardò in faccia, con fiducia:
– Se aveste almeno i baffi… – mormorò.
Alzò gli occhi al cielo: – Venite è qui che dovete entrare – disse il Direttore fermandosi davanti alla porta della classe V c dalla quale sarebbe poco dire che veniva chiasso.
– Credo che costruiscano barricate – disse il Direttore.
Mi strinse forte il braccio e se ne andò.
Aprii quella porta ed entrai.
Improvvisamente, silenzio.
Ne approfittai per richiudere la porta e salire sulla cattedra. Quaranta ragazzi mi fissavano minacciosamente. Era il silenzio che precede la battaglia.
Strinsi i pugni, feci forza a me stesso per per non dire niente; una parola sola avrebbe rotto l’incanto, e io dovevo aspettare, non precipitare gli avvenimenti.
I ragazzi mi fissavano, io li fissavo a mia volta come il domatore fissa i leoni, e immediatamente compresi che il capo, quel Guerreschi, di cui mi aveva parlato il Direttore, era il ragazzo di prima fila che palleggiava da una mano all’altra un’arancia e mi guardava la fronte.
Il momento era venuto.
Guerreschi mandò un grido, lanciò il frutto, io scansai appena il capo, l’arancia si infranse contro la parete.
Ma non era finita.
Inferocito, Guerreschi si drizzò in piedi e mi puntò contro la sua fionda di elastico rosso. Era il segnale: quasi contemporaneamente gli altri trentanove si drizzarono in piedi, puntando a loro volta le fionde, ma di elastico comune non rosso, perché quello era il colore del capo.
Si udì d’improvviso, ingigantito dal silenzio, un ronzio: un moscone era entrato nella classe, e quel moscone fu la mia salvezza.
Io capii la lotta che si combatteva in quei cuori: il maestro o l’insetto?
Improvvisamente dissi: – Guerreschi ti sentiresti capace, con un colpo di fionda, di abbattere quel moscone?
– E’ il mio mestiere – rispose con un sorriso.
Le fionde si abbassarono e tutti gli occhi furono per Guerreschi, che prese di mira il moscone, lo seguì, la pallina di carta fece: den! contro una lampadina, e il moscone tranquillo continuò a ronzare.
– A me la fionda – dissi.
Masticai a lungo un pezzo di carta, ne feci una palla, e con la fionda di Guerreschi, presi, a mia volta, di mira il moscone.
Indugiai a lungo prima di tirare. Poi con la mano ferma, lasciai andare l’elastico: il ronzio cessò di colpo e il moscone cadde morto ai miei piedi.
– La fionda di Guerreschi – dissi, tornando immediatamente sulla cattedra e mostrando l’elastico rosso, – è qui, nelle mie mani. Ora aspetto le altre – .
Si levò un mormorio, ma più d’ammirazione che d’ostilità: e uno ad uno, a capo chino, i ragazzi sfilarono davanti alla cattedra, sulla quale, in breve, quaranta fionde si trovarono ammonticchiate.
Calmo calmo, come se nulla fosse avvenuto dissi:
– Cominciamo con i verbi – .
E il Direttore? Temendo forse, dall’insolito silenzio, ch’io fossi stato fatto prigioniero dai quaranta demoni, entrò, a un certo punto in classe, e fu un miracolo se riuscì a soffocare un grido di meraviglia.
Più tardi, domandò come avessi fatto, ma si dovette contentare di una risposta vaga:
– Sono entrato nelle loro simpatie, Signor direttore! – .
[…] Giovanni Mosca
Tratto da “IMMAGINI”, antologia per la scuola media – ed. Grazzini

Il 18 ottobre 2018 da Ghiandaia blog
Lo Spirito Folletto

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