Tutto quello che davvero mi serve sapere su come vivere e cosa fare e come comportarmi, l’ho imparato all’asilo. La saggezza non era in cima alla montagna del dottorato, ma nel mucchio di sabbia del giardino. Queste le cose che ho imparato:
Dividi tutto; non barare; non picchiare la gente; metti le cose dove le hai trovate; pulisci quando sporchi; non prendere cose che non sono tue; chiedi scusa quando fai male a qualcuno; lavati le mani prima di mangiare;tira l’acqua nel bagno. Vivi una vita equilibrata: ogni giorno impara qualche cosa; pensa un po’, disegna, dipingi, canta, danza, gioca e lavora un po’; fai un pisolino tutti i pomeriggi.
Quando esci nel traffico, stai ben attento: tieni la mano di qualcuno e state vicini gli uni agli altri.
Cerca di essere consapevole del meraviglioso.
Robert Fulghum
Verso la fine degli Anni Sessanta, allo Zecchino d’oro fu presentata, tra le altre in concorso, anche la canzoncina “Volevo un gatto nero”.
Faceva più o meno così:
Volevo un gatto nero, nero, nero.
Mi hai dato un gatto bianco
e io non ci sto più.
Volevo un gatto nero, nero, nero:
siccome sei un bugiardo
con te non gioco più.
Straordinario: con incredibile preveggenza, si è allora e con grande anticipo, prefigurata l’attuale crisi internazionale delle borse.
Parafrasiamo il testo, attualizzandolo: avrei voluto un certo tipo di azioni, e tu (banca) mi hai dato quelle “spazzatura”, pur sapendo che sarebbero diventate poco più che carta straccia. Dunque, io non ci sto più. E dato che vi siete dimostrati bugiardi, io (in borsa) non gioco più.
Finanza e finanzieri adesso tremano. Sarebbe bastato che si ricordassero dello Zecchino d’oro e del mitico Mago Zurlì. E oggi, tutti, dormirebbero sonni un po’ più tranquilli.
La frittata è ormai fatta ma non tutti i mali vengono per nuocere. Importante è non perdere l’occasione di imparare dagli errori fin qui fatti. Che, semplicemente e ancora una volta, riconducono all’incapacità degli adulti di non adulterarsi.
Sarebbe bastato, basterebbe e basterà che ci si ricordi della rigorosa serietà con cui i bambini giocano.
Non saranno oggi in molti a ricordarsi del gioco “del mondo”: con il gesso, si disegnavano sull’asfalto tutta una serie di caselle. Occorreva saltarvi dentro muovendosi su una gamba sola. Essenziale era non “pestare” le righe tracciate con il gesso. Quando questo accadeva, risuonava un corale e sonoro “NON VALE!”, e il giocatore – o la giocatrice – doveva ritornare alla casella di partenza.
Le regole erano poche e chiare. E tutti le osservavano. Chi non le osservava, non poteva più giocare. Se insisteva, veniva allontanato dal gruppo e nessuno avrebbe più giocato con lui.
Meraviglioso ma utopistico: il mondo sarebbe senz’altro migliore se tutti coloro che dovessero andare fuori dal seminato “pestando” le righe tracciate sul terreno, tornassero al punto di partenza “senza passare dal Via!”, come sa chi gioca a Monopoli. Il che significa non incassando la buona uscita.
Ragionando su una scala ancora più ampia: le guerre scoppiano per ragioni economiche e i primi passi del belligerare riguardano proprio l’andare oltre le metaforiche righe tracciate su questa benedetta terra. Righe che usualmente chiamiamo confini. Io sto da questa parte e tu stai dalla tua. Gli uni e gli altri sempre di vedetta, nervosi e allarmati. A spiare se per caso le armate nemiche non dovessero intravedersi all’orizzonte.
Avremmo avuto e avremmo molti milioni di morti in meno se, quando qualcuno dovesse saltare oltre le righe stabilite, tuonasse alto nei cieli il grido “NON VALE”. “A RIMORTIS”. E fermi tutti. Nessuno, allora, si farebbe più male.
Questo in relazione alle guerre, combattute ieri come oggi.
Ma varrebbe anche in Azienda, nelle Associazioni, negli uffici, nelle banche, nelle poche fabbriche rimaste. In tutta la nostra società, insomma, dove si combattono piccole guerre quotidiane. Dove ognuno di noi, timoroso e tremebondo, traccia metaforici confini a difesa di una povera vita giocata all’insegna della paura.
Brutta faccenda. Ma siam fatti così. E, da quest’ottica, siam fatti proprio male.
Perché, in fondo, quando ci fa comodo, inventiamo regole il più delle volte assurde. Come nella favola del lupo e dell’agnello di Esopo: il lupo accusa l’agnello di sporcargli l’acqua anche se il povero agnellino sta bevendo a valle di dove si trova il lupo. Oggettivamente, non poteva sporcargli l’acqua, anche se l’avesse voluto. Ma tant’è: il lupo è più forte e fa quindi valere una regola inventata e ingiusta.
Da Esopo ai giorni nostri: nella recente festa di quartiere di una grande e civile città del nord Italia, un allegro trenino biricchino richiamava l’attenzione di bambini e genitori. Una bambina – chiamiamola Emma – e la sua nonna si avvicinano all’arcigno conduttore che, irremovibile, le invita a prendere due biglietti. Biglietti che, gratuitamente, – così dice loro – sarebbero stati dati dai commercianti che nel frattempo si agitavano cercando di vendere la loro improbabile mercanzia dietro altrettanto improbabili bancarelle. Bene: chi diceva di non avere più biglietti, chi ne poteva dare solo uno e chi diceva che avrebbe dato i biglietti soltanto ai passanti che avessero fatto acquisti. Il trenino, ormai più truffaldino che biricchino, parte. Con il severo conduttore che non vuol sentire ragioni. Insensibile al pianto disperato della povera Emma. La nonna, allora, buona come tutte le nonne, le compra un palloncino. Tenuto per la cordicella, accompagna saltellando nell’aria la bambina di quasi due anni. Facendole dimenticare l’ingiustizia subita.
“Nessuna ragione al mondo giustifica le lacrime di un bambino innocente”, scriveva Fjodor Dostojevskij. Sia che le ragioni siano di gretti commercianti o dei signori della guerra sparsi qua e là in tutto il mondo.
La speranza è che Emma, come tutti i bambini che oggi hanno pochi anni, diventino – da adulti – cittadini consapevoli dei propri diritti e che sappiano riconoscere la differenza tra la borsa e la vita.
Lo Spirito Folletto