Il Vigile urbano – un tempo – aveva grande autorità e carisma. Si può dire che fosse quasi un Leader naturale. Al centro dell’incrocio, nell’ora di punta e sul suo singolare podio a strisce bianche e rosse, dirigeva il traffico con una gestualità chiara e determinata: il braccio destro si alzava lentamente e dalla mano inguantata di bianco, sbocciavano veloci e scattanti, le cinque dita aperte. Segno inequivocabile che automobilisti, ciclisti, motociclisti e pedoni dovevano fermarsi e attendere il rispettivo via libera. Quest’ultima indicazione data con le braccia che solcavano l’aria con aristocratica e misurata armonia.
Tutto ciò è un ricordo del passato. Negli incroci convulsi di oggi è molto raro (se non impossibile, almeno a Milano) vedere un vigile dirigere il traffico. E quelle rare volte che lo fa, lo fa per poco tempo e con un gesticolare talmente bizzarro da creare più confusione che altro. L’autorità e il carisma non stanno caratterizzando di certo la figura del vigile urbano di oggi.
A noi non interessa indagare le ragioni socio-politiche e cultural-sanitarie di un tale curioso fenomeno. Interessa piuttosto valutarne le cause nella prospettiva di una ipotetica relazione tra gestualità, posture e leadership efficace. E rintracciarne quindi i possibili collegamenti con la direzione di quel particolare complesso orchestrale costituito dai gruppi di lavoro, dai team e dalle équipe impegnate nella gestione dei processi educativi.
Il vigile urbano di oggi ha perso la capacità di correlare gesto e postura con l’obiettivo che il proprio ruolo gli imporrebbe di raggiungere: essere riconosciuto in quanto persona autorevole e autorizzata a intervenire per fluidificare (nel rispetto delle regole) la mobilità di auto, tram e mezzi di trasporto in genere, privati o pubblici che siano.
E Educatori e Educatrici…?
Analoga considerazione riguarda tutti coloro che “vigilano” (educatori, maestri, insegnanti, volontari…) per garantire il raggiungimento degli obiettivi didattico-pedagogici di volta in volta definiti.
Apriamo una parentesi per fare un tuffo nel passato, per un momento e per quel poco che può valere: Max Weber tratteggia tre sostanziali tipologie di Leader.
1. La prima riguarda il Leader rappresentato da figure regali e aristocratiche che – per una ragione o per l’altra – possono vantare investiture divine. Il che comporta l’essere anche il naturale oggetto di venerazione e vero e proprio culto.
2. La seconda tipologia di Leader concerne coloro che sono animati da grande fede, da nobili ideali e che tendenzialmente combattono contro la tradizione: lottano per l’instaurazione di nuovi e alternativi sistemi. Favoriscono e promuovono al riguardo bruschi e violenti cambiamenti.
3. L’ultima tipologia descritta da Weber riguarda la situazione in cui il Leader governa e sostiene un sistema ben ordinato, dove vige una precisa gerarchia di potere, collegata a sua volta alle reali capacità e competenze di ciascun membro della struttura.
Ogni Leader appartenente all’una, all’altra o all’altra ancora delle tre tipologie tratteggiate da Weber si avvaleva più o meno consapevolmente di forme gestuali e posturali specifiche e ben determinate.
Che vi sia una certa connessione tra gesto, movimento del corpo e in sostanza tra linguaggio non verbale e leadership efficace, è fuor di discussione.
Vediamo allora in sintesi, un po’ per scherzo e con qualche esempio, come la questione si pone all’interno della specifica e del tutto particolare relazione tra direttore (Educatore) e orchestrali (Alunni).
Il gesto – quindi – come elemento indispensabile perché l’insieme degli strumenti (che in buona sostanza non sono altro che un insieme di scatole di legno con cordicelle e tubi bucati di varia dimensione e fattezza…) si tramuti in una sorta di telaio incantato da cui si origina quello straordinario tessuto emotivo che è la musica.
“Richard Wagner ricoprì per un certo periodo (dal 1834 al 1865) anche il ruolo di direttore. Il suo modo di condurre era piuttosto rude e durante le prove utilizzava tutto il corpo come una gigantesca bacchetta per tentare di dare slancio all’esecuzione. Non amava la staticità trovandola inutile e dannosa…Piccolo di statura, giganteggiava davanti all’orchestra…Erano indimenticabili lo sguardo penetrante, il gioco eloquente del volto e l’espressività di ogni tratto…”
Prescindendo da Wagner, un tale, forte coinvolgimento può talvolta tramutarsi in gigioneria e quindi in narcisistica attenzione per la propria personalità e immagine. Rischio che corre il direttore d’orchestra come chiunque abbia la responsabilità di condurre un gruppo a conseguire i risultati attesi, di qualsiasi natura essi siano.
Tutt’altra cosa lo stile di Felix Paul Weingartner (1863 – 1942): “Il gesto, per la sua naturale eleganza, non riempiva la scena e il polso era l’unico movimento che si concedeva…Il direttore doveva lavorare in sinergia con l’orchestra, non disturbando l’ascolto da parte del pubblico con inutili contorsionismi del corpo…”
Nelle cittadelle organizzative (e associative) convivono entrambi gli stili ma la questione in fondo è: chi comanda? l’orchestra o il direttore? L’Educatore o i bambini…? Carlo Maria Giulini è al riguardo molto chiaro: “Nelle orchestre di grandi tradizioni, o comanda l’orchestra o comanda il direttore. Però per me non si tratta di comandare, si tratta di fare musica insieme…Se chi sta sul podio è seppur vagamente un musicista, sa trasmettere il suo sentimento e in pochi minuti si crea il contatto umano e musicale, altrimenti è l’orchestra stessa a comandare…Le mie parole sono in genere poche e si basano sul reciproco saluto e sulla chiarezza delle idee che voglio trasmettere.
Il gesto non si può insegnare, si può soltanto dire che il gesto nasce spontaneamente dalla tua idea musicale. Il gesto è semplicemente la conseguenza e il tramite del sentimento che vuoi esprimere. Si tratta di trasmettere all’orchestra questo sentimento. Ricordiamoci che è fondamentale non suonare ma fare musica.”
Uno stile di leadership efficace – allora – non può prescindere dal sentimento, sentimento di cui il responsabile (nel nostro caso: l’Educatore) deve essere non solo consapevole: deve anche essere in grado di trasmettere la propria emozione ai collaboratori (nel nostro caso: gli Alunni).
Lo Spirito Folletto